venerdì 5 aprile 2013

Il piano americano per destabilizzare il Venezuela di Chavez. Il ruolo delle ONG e delle agenzie americane




Obiettivo strategico: destabilizzare il Venezuela raggiungendo la società civile organizzata che non nutriva simpatie verso Chavez e confondere i suoi sostenitori e gli stranieri. Un piano che passava attraverso la capillare infiltrazione della U.S. Agency for International Development (USAID) e dell’Office of Transition Initiatives (OTI) attraverso una rete di Ong attentamente orchestrate.
Russell Porter, il direttore dell’USAID, visitò il Venezuela nel 2002 con il compito di valutare la situazione politica. La presenza di una democrazia dal basso vivace (consejos comunales, radio e tv popolari, iniziative per l’alfabetizzazione e la lotta contro la povertà) mostrò una situazione diversa da quella immaginata: il forte attaccamento del popolo al suo Presidente portò l’USAID a prendere iniziative per un repentino cambio di regime che favorisse gli Stati Uniti attraverso il finanziamento, la creazione e la consulenza anti-Chavez dei partiti politici, delle ONG e dei media.
Tre mesi dopo il viaggio di Porter in Venezuela, gli stessi gruppi orchestrarono un colpo di stato contro Chavez. Un golpe sventato in 48 ore che diede un quadro chiaro della situazione venezuelana. Durante i primi due anni di attività, l’USAID/OTI stanziò 10 milioni di dollari, utilizzati per finanziare circa 64 gruppi di opposizione e molti programmi in Venezuela.
Nel 2006 l’ex ambasciatore statunitense, William Brownfield, delineò un piano globale per infiltrarsi nel tessuto sociale attraverso tre obiettivi: penetrare nella base politica chavista, proteggere gli affari degli Usa nell’area venezuelana e isolare internazionalmente Chavez. Un milione di dollari per organizzare 3.000 forum al fine di individuare punti in comune tra opposizione e chavisti, 600.000 venezuelani raggiunti dalle ONG nelle regioni a basso reddito con un programma di educazione civica denominato “Democrazia tra noi” e una rete di avvocati che doveva occuparsi di presunte violazioni nelle carceri. Furono inoltre stanziati oltre 15 milioni di dollari per 300 organizzazioni non governative che avevavo il compito di portare avanti il piano di destabilizzazione del Venezuela, diventato di difficile penetrazione dopo le elezioni del 2006.
Il martellante attacco ai diritti umani divenne il cavallo di battaglia dell'USAID: fu portato avanti anche attraverso la creazione di una rete docenti universitari a pagamento. Nonostante il massiccio dispiegamento di forze, il Venezuela del 2006 scelse ancora il cammino della rivoluzione bolivariana. In seguito alle elezioni, anche la strategia dell’USAID/OTI cambiò: orientare gli investimenti su movimenti giovanili capaci di raggiungere i moderni social network e di utilizzare le nuove tecnologie. Dal 2006 al 2010, più del 34% del bilancio USAID - che si avvicinava 15 milioni di dollari l'anno - fu utilizzato per finanziare programmi universitari, seminari e altri eventi per costruire un movimento anti-Chavez. Nel 2010, i finanziamenti esterni per i gruppi di opposizione in Venezuela raggiunsero più di $ 57 milioni, la maggior parte proveniente da agenzie statunitensi come l'USAID e il National Endowment for Democracy.
Riflessioni a margine
Le Ong apripista dell’occidentalizzazione? Copione che si ripete in tutto il mondo: creare organizzazioni alle dipendenze del Dipartimento di Stato, alimentare un clima di proteste e spesso di violenze, far circolare materiale manipolato per far passare l’idea di una “dittatura”, fomentare le differenze su basi etniche o sociali. Immotivata la decisione di espellere dal Venezuela l’USAID nel 2010? Identico canovaccio in Medio Oriente come in America Latina, passando per tutte le esperienze di ingerenza dell’Occidente nella sovranità nazionale e nel processo di costruzione dell’identità politica dei popoli, di quelli non allineati ovviamente.

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