venerdì 27 aprile 2012

Strategie ai tempi della crisi in Italia, tra baratto e moneta locale

Sopravvivere alla crisi attraverso forme di interscambio oltre la logica dello spreco e capaci di innestare movimenti di scambio locale. Nell’epoca globale e globalizzante, spinte centrifughe riconducono alla comunità come agorà di baratti ed esperimenti vari. Luoghi fisici e virtuali che diventano riferimenti in termini di superamento della difficile congiuntura economica. In parole semplici, sperimentazioni e iniziative ai tempi della crisi e, in una prospettiva di lungo periodo, esigenza di ripensamento delle soluzioni nazionali e sovranazionali. Localizzare come risposta alla crisi e ai suoi effetti devastanti? Sembra questa la strada percorsa, attraverso diverse prospettive, da comunità reali e virtuali in tutto il mondo. Già da diversi anni, l’incremento di forme di scambio alternative ha investito l’America, contagiando diverse realtà, dai Net Scavengers, più noti come gli spazzini della rete, alle monete complementari (ad esempio il wir creato in Svizzera nel 1934 da un gruppo di imprenditori per superare la crisi). Ad ottobre Ballarò si è occupato di forme di scambio senza soldi anche in Italia, concentrandosi su esperienze come quelle semplici di un atelier romano dove persone benestanti scambiano vestiti griffati, o sulla testimonianza degli utenti del portale di Zerorelativo.it, i barter, che barattano beni e servizi. Ma non solo queste esperienze. Nelle ultime settimane diverse le notizie in Italia che riguardano l’emergere di una forma mentis prima che di esperimenti, che superi la logica del consumismo e tenda a ri-pensare l’utilizzo degli oggetti e dei beni, da Bolzano ad Ogliastra, passando per l’esperienza collaudata della comunità calabrese di Riace. Lontani dai dibattiti che hanno investito filosofi e intellettuali sul valore del baratto e delle forme di scambio, persone comuni, a volte per necessità, altre per spirito di iniziativa, cercano di dare una risposta alla crisi, inaugurando un percorso di sviluppo sostenibile capace di coinvolgere piccole comunità o reti di persone che spesso non condividono luoghi “fisici”, ma semplicemente interessi e prospettive. Questi esperimenti, visti attraverso un’angolatura diversa, potrebbero in realtà portare a una riflessione sulla società in chiave di crescita non consumistica e al superamento di un sistema di produzione fine a se stesso. In un mondo dove lei risorse sono ormai in esaurimento e le future guerre si combatteranno in nome della spartizione di beni primari come l’acqua, la rivalutazione dell’importanza dei prodotti e del loro riutilizzo potrebbe inaugurare un nuovo rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Materia, quest’ultima, sostenuta da decenni da movimenti e gruppi anche noti. Senza entrare nella questione della decrescita, è invece interessante sottolineare come, sulla scia di esperienze collaudate e in una sorta di inversione dei tempi, anche in Italia si dia spazio a esperienze simili al baratto o comunque legate a un valore di uso diverso da quello proposto dalla moneta tradizionale. In alcuni casi si tratta di scambio semplice, senza vincoli di socialità, in altri si cerca di restituire centralità alle comunità locali, favorendone le interazioni. La creazione di un tessuto locale attraversato da una rete di scambi fuori dal valore convenzionale della moneta, permetter di superare la necessità di liquidità, favorisce l’interscambio locale e il recupero di una rete di socializzazione comunitaria o intercomunitaria. Come nel caso della proposta dello scrittore e giornalista Antonello Mangano e della giornalista Monica Piccini che hanno pensato a una app multipiattaforma volta a creare e gestire moneta locale creata da amministratori. Le vetrine virtuali permettono agli utenti di scambiare prodotti e servizi, grazie alla realizzazione di una rete basata sui contatti provenienti dai diversi social network. Si tratterebbe di un esperimento allargato alla rete di quelle che sono note come community currencies, basate su valuta non nazionale o sovranazionale, e sempre più diffuse anche in Italia. La sorpresa riguarda la presenza in quasi tutte le regioni italiane di monete locali, dal Buono Locale di Solidarietà Scec di Napoli al DANEE milanese, passando per il progetto Tau in Toscana alla banconota-voucher che circola nel Parco nazionale dell'Aspromonte, l’Eco-Aspromonte. Sempre in Calabria, saltato alla ribalta delle cronache come esempio di integrazione, il caso di Riace, comune che dall’anno scorso, per far fronte alle lentezze burocratiche dei finanziamenti a sostegno dei richiedenti asilo, ha iniziato a coniare cartamoneta particolare. Si tratta di bonus che permettono agli stranieri (indispensabili per la vita della comunità calabrese, soggetta a un massiccio calo demografico dovuto all’emigrazione), di comprare prodotti nei negozi locali, interagendo direttamente con la comunità e senza creare tensioni sociali dovute a condizioni di vita precarie. Gli stessi buoni vengono poi convertiti in soldi presso il comune nel momento in cui arrivano i fondi destinati agli immigrati. La Calabria, ma anche la Sardegna e il ritorno al baratto. Ad Ogliastra, dove la disoccupazione ha raggiunto il 17% e si assiste in questi mesi alla chiusura di piccole e grandi imprese. Scambi di prodotti semplici come il formaggio, il pesce, il foraggio, i capretti, rappresentano l’alternativa alla crisi e una forma di baratto all’interno della stessa comunità, ma anche scambio di servizi, come la costruzione di un sito web in cambio di un soggiorno nella struttura che ne usufruisce. Storie di persone comuni che si sono trovate faccia a faccia con la crisi e sono state costrette a contrastarne gli effetti attraverso la sperimentazione di vecchie forme di scambio. Economia del dono, contrapposta a quella di mercato, basata sul valore d’uso dei prodotti e dei beni più che sul valore di scambio. In quest’ottica un interessante esperimento a Bolzano, dove, sulla scia del progetto "Transition Town", fondato da Rob Hopkins, è stato inaugurato il negozio-non negozio “Passamano”. Si tratta di un’iniziativa vicina alla logica del “book crossing”, come spiega una delle promotrici, Gaia Palmisano, che permette ai clienti di portare oggetti superflui o inutilizzati in una sorta di piazza di scambio in cui non circola moneta, salvo la possibilità di donare contributi volontari per il mantenimento della struttura. Localizzazioni per fronteggiare la crisi ma anche per stabilire legami in chiave identitaria? Gli effetti della globalizzazione passano anche per un tentativo delle popolazioni locali di non essere asservite ai dettami della logica economica. Forse un primo passo per rimettere in discussione il sistema capitalista e le sue diseguaglianze.

martedì 24 aprile 2012

La Fiat non reintegra due lavoratori a Chieti. Riflessioni a margine sul “mercato” del lavoro

A leggere Lucio Gallino e la sua lunga intervista sulla lotta di classe dopo la lotta di classe, ci si accorge di quanto sia importante ripensare gli avvenimenti degli ultimi decenni in una chiave non solo storico-politica ma anche sociologica. La fine dei sistemi comunisti, non a caso al plurale se non vogliamo concentrarci esclusivamente sull’Unione Sovietica e la caduta simbolica del muro di Berlino, ha scavato un solco nella società italiana anche in termini di ripristino di una lotta di classe dove un’élite potente legata a lobbies imprenditoriali e bancarie cerca di riappropriarsi di privilegi persi in gran parte tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. “Privilegi” per alcuni “conquiste” per altri, dipende dai punti di vista, ma comunque sfaccettature di una logica che aveva risposto in gran parte al contenimento del comunismo e alla necessità di imprimere nelle classi operaie la sensazione che il capitalismo portasse benefici e risollevasse anche le fasce che ideologicamente combattevano quel mostro. Il raggiungimento di condizioni di vita migliori e meno precarie sembrava un traguardo, invece non era altro che il corollario di un’epoca, cominciata a decadere negli anni Novanta fino al nuovo secolo. La globalizzazione e la perdita dei ruoli di mediazione della politica e dei sindacati hanno fatto il resto; il mercato del lavoro è diventato sempre più asfittico e le ripercussioni sono state avvertite da chi – in termini non solo economici – pensava di aver raggiunto degli obiettivi. Obiettivi, aspettative, condizioni di vita. In una sola parola il “destino” citato da Gallino, non un termine astratto ma la possibilità concreta di “avere o no un buon livello di istruzione e poterlo trasmettere; poter scegliere o no dove e come abitare; vivere in salute più o meno a lungo; fare un lavoro gradito, professionalmente interessante oppure no; avere o non avere preoccupazioni economiche; dover temere oppure no che il più modesto incidente della vita quotidiana metta in serie difficoltà sé o la propria famiglia”. In queste parole si racchiude il confine tra quanti tendono a uniformare gli effetti della crisi: dietro una questione apparentemente economica si cela il declino del senso di riscatto, del senso del futuro, delle aspettative. E così, di fronte al caso della Sevel di Atessa, in provincia di Chieti, società automobilistica appartenente alla Fiat, si torna a riflettere sugli uomini come merce, usati e assoggettati alle logiche del mercato del lavoro. Due lavoratori interinali vengono licenziati nel 2008 e reintegrati a gennaio dal giudice del lavoro. Si tratta dei primi ricorsi con sentenza (le altre attese a maggio) di 150 dipendenti che hanno lavorato presso lo stabilimento con diversi contratti. Ad aprile ancora nessun reintegro, nonostante la decisione della legge. Melfi, Pomigliano, L’Aquila, Cassino con tutte le complesse vicende legate, i tentativi di quella che passerà alla storia come la “pomiglianizzazione” del lavoro, hanno rappresentato in tutti questi anni la prova tangibile di un Paese contraddittorio, dove gli aiuti statali vengono distribuiti a imprese senza reali prospettive per chi dovrebbe beneficiare degli effetti. Né i lavoratori né lo stesso mercato del lavoro. Dopo le esperienze di delocalizzazione in Asia e India, seguite da quelle nell’Europa dell’Est, ci si chiede quali siano stati i reali benefici apportati all’Italia, anche di riflesso. Le multinazionali e le imprese produttrici investono all’estero per il basso costo della manodopera e i vantaggi fiscali, ma il prezzo dei prodotti non sembra subire modifiche di rilievo. Burlati i consumatori, ma ancora di più i lavoratori. Nel caso della Sevel, la politica e i sindacati tentano di alzare la voce (Il consigliere regionale Saia del Pdci e il capogruppo dell’Idv alla Camera dei deputati, Massimo Donadi, il Prc), ma resta la considerazione che la riflessione sul mondo del lavoro dovrebbe essere più ampia. E magari ripartire dall’uomo e dal suo “destino”.