martedì 24 aprile 2012

La Fiat non reintegra due lavoratori a Chieti. Riflessioni a margine sul “mercato” del lavoro

A leggere Lucio Gallino e la sua lunga intervista sulla lotta di classe dopo la lotta di classe, ci si accorge di quanto sia importante ripensare gli avvenimenti degli ultimi decenni in una chiave non solo storico-politica ma anche sociologica. La fine dei sistemi comunisti, non a caso al plurale se non vogliamo concentrarci esclusivamente sull’Unione Sovietica e la caduta simbolica del muro di Berlino, ha scavato un solco nella società italiana anche in termini di ripristino di una lotta di classe dove un’élite potente legata a lobbies imprenditoriali e bancarie cerca di riappropriarsi di privilegi persi in gran parte tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. “Privilegi” per alcuni “conquiste” per altri, dipende dai punti di vista, ma comunque sfaccettature di una logica che aveva risposto in gran parte al contenimento del comunismo e alla necessità di imprimere nelle classi operaie la sensazione che il capitalismo portasse benefici e risollevasse anche le fasce che ideologicamente combattevano quel mostro. Il raggiungimento di condizioni di vita migliori e meno precarie sembrava un traguardo, invece non era altro che il corollario di un’epoca, cominciata a decadere negli anni Novanta fino al nuovo secolo. La globalizzazione e la perdita dei ruoli di mediazione della politica e dei sindacati hanno fatto il resto; il mercato del lavoro è diventato sempre più asfittico e le ripercussioni sono state avvertite da chi – in termini non solo economici – pensava di aver raggiunto degli obiettivi. Obiettivi, aspettative, condizioni di vita. In una sola parola il “destino” citato da Gallino, non un termine astratto ma la possibilità concreta di “avere o no un buon livello di istruzione e poterlo trasmettere; poter scegliere o no dove e come abitare; vivere in salute più o meno a lungo; fare un lavoro gradito, professionalmente interessante oppure no; avere o non avere preoccupazioni economiche; dover temere oppure no che il più modesto incidente della vita quotidiana metta in serie difficoltà sé o la propria famiglia”. In queste parole si racchiude il confine tra quanti tendono a uniformare gli effetti della crisi: dietro una questione apparentemente economica si cela il declino del senso di riscatto, del senso del futuro, delle aspettative. E così, di fronte al caso della Sevel di Atessa, in provincia di Chieti, società automobilistica appartenente alla Fiat, si torna a riflettere sugli uomini come merce, usati e assoggettati alle logiche del mercato del lavoro. Due lavoratori interinali vengono licenziati nel 2008 e reintegrati a gennaio dal giudice del lavoro. Si tratta dei primi ricorsi con sentenza (le altre attese a maggio) di 150 dipendenti che hanno lavorato presso lo stabilimento con diversi contratti. Ad aprile ancora nessun reintegro, nonostante la decisione della legge. Melfi, Pomigliano, L’Aquila, Cassino con tutte le complesse vicende legate, i tentativi di quella che passerà alla storia come la “pomiglianizzazione” del lavoro, hanno rappresentato in tutti questi anni la prova tangibile di un Paese contraddittorio, dove gli aiuti statali vengono distribuiti a imprese senza reali prospettive per chi dovrebbe beneficiare degli effetti. Né i lavoratori né lo stesso mercato del lavoro. Dopo le esperienze di delocalizzazione in Asia e India, seguite da quelle nell’Europa dell’Est, ci si chiede quali siano stati i reali benefici apportati all’Italia, anche di riflesso. Le multinazionali e le imprese produttrici investono all’estero per il basso costo della manodopera e i vantaggi fiscali, ma il prezzo dei prodotti non sembra subire modifiche di rilievo. Burlati i consumatori, ma ancora di più i lavoratori. Nel caso della Sevel, la politica e i sindacati tentano di alzare la voce (Il consigliere regionale Saia del Pdci e il capogruppo dell’Idv alla Camera dei deputati, Massimo Donadi, il Prc), ma resta la considerazione che la riflessione sul mondo del lavoro dovrebbe essere più ampia. E magari ripartire dall’uomo e dal suo “destino”.

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