martedì 14 maggio 2013

Il cinema spagnolo dice no all’industria e allo sfruttamento dei delfini



Un giro d'affari da due miliardi di dollari l’anno sulla pelle dei cetacei sfruttati per il divertimento di massa e costretti in cattività nonostante i numerosi casi di suicidio. L’interesse e lo sconcerto per le sofferenze e le atrocità dietro il sipario sono venuti alla ribalta della cronaca, non certo con il giusto clamore, dopo la produzione del documentario "The Cove" (https://www.youtube.com/watch?v=4KRD8e20fBo), premio Oscar nel 2010, dove si raccontano le tecniche di rapimento dei delfini negli oceani, la separazione dalle loro madri tra grida di angoscia e i massacri di quelli che non sono adatti agli spettacoli negli acquari. Nella laguna di Taiji, in Giappone, avviene la cattura di questi cetacei per cui vengono pagati anche 150.000 dollari ad esemplare, il tutto per arricchire il mercato occidentale attraverso la caccia a 23.000 delfini ogni anno.

Nel documentario/denuncia ha recitato anche Richard "Ric" O'Barry ", protagonista del film Flipper, che ha dedicato una vita alla difesa dei delfini e alla lotta contro ogni forma di cattività. Ric O’Barry aveva catturato e allenato i cinque cetacei protagonisti del film; la svolta quando uno degli esemplari, Kathy era morta tra le sue braccia. Un suicidio. Da quel momento libri, reti tagliate per liberare i mammiferi e la costituzione di un’associazione per la denuncia dello sfruttamento che coinvolge delfinari, acquari e la stessa produzione cinematografica. In Spagna numerose personalità del mondo del cinema e della cultura si sono schierate contro lo sfruttamento dei cetacei nell’industria crudele degli spettacoli, con la complicità della mafia giapponese. Tra questi il regista Bigas Luna e altre personalità, come Fernando Tejero, Marina Salas, Macaco, Nuria Gago, Nathalie Seseña (http://www.youtube.com/watch?v=Gf-KYrLIMDI&feature=player_embedded).
I suicidi di delfini e orche sono denunciati da decenni da numerosi scienziati marini. Lo stress e la depressione dovuti alla limitazione degli spazi e il sogno dei non-confini dell’oceano, l’impossibilità di percorrere chilometri al giorno seguendo i loro istinti, l’assenza di discese nelle profondità marine, compromettono la stabilità emotiva dei cetacei, condannandoli alla morte nel giro di due anni e a uno sconvolgimento dello stesso ecosistema marino. Già negli anni Settanta erano stati denunciati numerosi casi di suicidi di orche che si erano lasciate morire di fame dopo 75 giorni dalla cattura e lo stesso comportamento era stato osservato nei delfini. Come aveva raccontato il famoso oceanografo Jacques Cousteau, molti esemplari erano morti dopo aver battuto la testa contro il muro in maniera ripetuta, agonizzando e annegando nel giro di poco tempo. Ancora scarsa informazione sulle atrocità perpetrate nel nome degli affari, la speranza che l'esempio della Spagna nei giorni scorsi sia solo l’inizio di un lungo percorso di civiltà.

domenica 12 maggio 2013

Sull’invenzione della guerra umanitaria in Siria. Gli australiani uccisi nel 2012 non erano volontari di una Ong ma jihadisti



Ad agosto del 2012 la notizia dell’uccisione di 4 volontari australiani ad opera delle forze di Assad aveva fatto il giro dei media. L’ABC News agency aveva riportato che Mustapha al Majzoub, uno dei militanti morti ad Aleppo, si trovava in Siria per fare carità e per svolgere “assistenza umanitaria”, nonché per porsi come mediatore tra le varie fazioni dei ribelli. In realtà, come riportato da un sito web dei martiri jihadisti, si trattava di un affiliato al Fronte di al-Nusra, così come gli altri tre uomini uccisi nel conflitto siriano. In un articolo pubblicato sul quotidiano australiano “The Sydney Morning Herald” si chiarisce definitivamente che – sulla base di notizie verificate dalla Polizia federale australiana e confermate dalle stesse famiglie - Mustapha al Majzoub, Roger Abbas, Yusuf Toprakkaya e Sammy Salma combattevano con gruppi di ribelli in diverse aree tra Maarat Numan e Aleppo. Nessun aiuto umanitario ai rifugiati che “non avevano acqua e cibo” o pellegrinaggi, come riferito da quotidiani tra cui The Australian, ma semplice affiliazione al Fronte al-Nusra in chiave anti-Assad. Ancora una volta distorsione della realtà finalizzata alla giustificazione di una guerra umanitaria e alla costruzione di un nemico da abbattere. Sulla manipolazione di guerra e la complicità dei media occidentali.

domenica 5 maggio 2013

Noam Chomsky: l’attacco di Obama ai diritti civili ben oltre la fantasia



Dura denuncia del linguista e filosofo americano Noam Chomsky che, in una lunga intervista pubblicata su TruthOut.org a cura di Mike Stiver, condanna l’attacco di Obama alle libertà civili. Ben oltre la fantasia, dal National Defense Authorization Act a Guantanamo, passando per l’utilizzo dei droni per uccidere e sorvegliare gli stessi cittadini americani.

La materializzazione di un grande incubo. Dal sogno americano al pericolo della limitazione delle libertà individuali, fino alla distruzione dei diritti costituzionali contenuti nella Magna Carta. Dubbi e interrogativi che animano da mesi il dibattito americano, ma rimangono confinati senza trovare rilievo sulla stampa mondiale. In Italia più che mai. Paura di far crollare completamente l’idea di un modello americano perfetto e di annientare la visione manichea a cui siamo stati abituati per esportare guerre umanitarie. Ancora una volta è Noam Chomsky a venirci in aiuto, con una lunga intervista in cui tocca i punti principali della pericolosità dei provvedimenti caldeggiati da Obama. Il linguista ammette di non essersi mai aspettato grandi cambiamenti dall’elezione del presidente, fin dalle primarie del 2008. Un gioco di fumo e specchi, lo definisce l’intellettuale americano, che ha trovato l’apice dell’equivoco nella promulgazione del National Defense Authorization Act (NDAA), nel gennaio dello scorso anno. Una legge che contiene una disposizione generica sulla detenzione indefinita universale senza accuse e senza processo, la cui pericolosità è legata alla completa assenza di limitazioni di ordine temporale o geografico. La detenzione di cittadini anche al di fuori di conflitti, infatti, è una palese violazione del diritto internazionale, oltre ad essere illegale ed incostituzionale per i principi americani.
L’analisi di Chomsky tocca l’uso dei droni sia come strumenti killer che come nuova frontiera per monitorare i cittadini americani. La condanna della lotta al terrorismo portata avanti attraverso velivoli che uccidono i civili, lascia intravedere la contraddizione del loro uso: difendere la vita di ogni americano non può avvalersi dell’uccisione di innocenti o di altre persone. Ma il dibattito sui droni coinvolge anche le scelte interne all’amministrazione Obama, in particolare l’iniziativa di affidarne il controllo alle forze di polizia locali per sorvegliare i cittadini. Non solo violazione della privacy, ma anche uso inappropriato della stessa per intimidire e minacciare gli individui. Chomsky non esclude la criminalizzazione del dissenso verbale non violento, un ulteriore colpo alla libertà americana, soprattutto in relazione al legame tra sistemi penali e etnie oppresse, in primis la popolazione maschile nera. Il linguista ricorda come quest’ultima non ha, ancora nel 2013, diritto a un giusto processo, a volte inesistente, né può permettersi un avvocato e una difesa decenti. Un esempio concreto di differenza “razziale” (inaugurata da Reagan) sarebbe per Chomsky la lotta alla droga: più facile arrestare un ragazzino nero che entrare in un quartiere ricco bianco per scoprire il traffico di cocaina. L’analisi non rimane in superficie: a chi conviene tener in vita sistemi carcerari di questo tipo? La carcerizzazione viene letta nell’ottica dell’affare privato portato avanti da lobbies ben definite e relative commercializzazioni.
La chiosa sulla globalizzazione e la tortura, legami sedimentati in sistemi collaudati che hanno portato paesi dell’Europa, del Medio Oriente, dell’Asia e dell’Africa a rendersi complici degli Usa, con l’esclusione dell’America Latina. Sulla scorta delle osservazioni dell’analista latinoamericano Greg Grandin, Chomsky fornisce un’ulteriore chiave per interpretare l’avversità contro Morales, Chavez e gli altri presidenti sudamericani contrari al sistema statunitense. La parentesi su Guatanamo e in particolare sulla storia di Omar Khadr, un ragazzo di 15 anni che, durante l’attacco al suo villaggio in Afghanistan, imbraccia il fucile e spara contro i soldati americani. Etichettato come terrorista è stato inviato alla base aerea di Bagram, notoriamente luogo di abusi e torture. Dopo un paio di anni è stato trasferito a Guantanamo e – avendo ottenuto un’udienza davanti a un tribunale militare – ha due scelte: dichiararsi colpevole e restare altri 8 anni in carcere o innocente e rimanerci per la vita. Essendo cittadino canadese, il Canada ha impugnato la causa e chiesto che sia liberato, al momento senza riscontri.

giovedì 2 maggio 2013

La destabilizzazione dell’America Latina. Evo Morales espelle l’Usaid



Per comprendere in maniera sommaria l’attività dell’U.S. Agency for International Development, nota come USAID, basta dare uno sguardo al Venezuela dei decenni passati e ai tentativi, svelati recentemente, di destabilizzazione del governo chavista. Lauti finanziamenti che utilizzavano come apripista Ong che, in realtà, dietro missioni sociali e ambientali, avevano il compito di raggiungere la società civile attraverso iniziative che portassero a un repentino cambio di regime pro Stati Uniti, finanziando la creazione di movimenti e fornendo consulenza ai partiti politici e ai media. Lo stesso golpe contro Chavez era stato sostenuto dall’USAID/OTI, fallito dopo 48 ore grazie all’attaccamento del popolo venezuelano al suo leader. Dal 2006 al 2010, più del 34% del bilancio USAID - che si avvicina a 15 milioni di dollari l'anno – è stato utilizzato per finanziare programmi universitari, seminari e altri eventi per costruire un movimento anti-Chavez. Nel 2010, i finanziamenti esterni per i gruppi di opposizione in Venezuela hanno raggiunto più di 57 milioni di dollari, la maggior parte proveniente da agenzie statunitensi come l'USAID e il National Endowment for Democracy (NED). Le ong hanno, nell’ultimo decennio, raggiunto 600.000 milioni di venezuelani a basso reddito per convincerli dell’inutilità della rivoluzione bolivariana: seminari, studi, corsi (propinati anche all’estero da docenti universitari profumatamente pagati) per parlare di “democrazia”.
Il Primo Maggio, in occasione delle celebrazioni del lavoro, Evo Morales ha accusato l’USAID, presente sul territorio dal 1964, di complotto contro la Bolivia e che i programmi ambientali e sociali di cui formalmente si occuperebbero le ong e la stessa agenzia saranno assorbiti dallo Stato. L’avvenimento si aggiunge ad una serie di provvedimenti che dal settembre 2008 hanno minato i rapporti tra Usa e Bolivia.
Ricordiamo che le attività dell’USAID riguardano tutta l’America Latina: la Colombia ha ricevuto recentemente170 milioni di dollari e il Guatemala 100 milioni per garantire il nuovo piano di intervento Usa nell’area meridionale: insistere sulla “pubblica sicurezza”, destabilizzare Cuba e favorire il controverso piano di aiuti ad Haiti. Oltre al Venezuela, è dimostrato che in Honduras, l'USAID ha lavorato con gli autori del colpo di stato, mentre si sospetta che in Paraguay l’attuale amministratore delegato, Mark Feierstein ex ufficiale dell'intelligence, abbia manovrato gli eventi che hanno permesso il regime nostalgico Stroessner di riprendere il controllo della nazione. In tutto, gli Stati Uniti investono 1 miliardo di dollari l'anno in "operazioni umanitarie" in America Latina e nei Caraibi attraverso la fantomatica agenzia per lo sviluppo internazionale (USAID). Infiltrazioni imperialistiche in nome degli interessi economici.