lunedì 27 giugno 2011

Libia. L’Italia va alla guerra: i costi e la propaganda


Le chiamano missioni umanitarie. Impegnano attualmente il nostro Paese in alcune aree del mondo, tra cui il Libano, la Libia, il Kosovo e l’Afghanistan. 29 missioni internazionali in 21 Paesi diversi con un dispiegamento di 7.165 militari nel primo semestre di quest’anno e un costo che ha già superato il miliardo e mezzo di euro all’anno. La maggioranza degli italiani, circa l’80%, si dice contraria a interventi militari, eppure l’Italia è impegnata fino al collo in malcelate operazioni di pace. In primis in Libia, a un passo da casa nostra, dove tra valzer diplomatici e accordi traditi, il nostro Paese bombarda “a buon fine”, come hanno recentemente fatto sapere dalla Nato. Ma nessuno ha il coraggio di chiamarla guerra.

I costi del conflitto
Il 6 maggio il ministro Frattini annunciava che la guerra di Libia sarebbe durata poche settimane, anzi, sarebbe finita ottimisticamente in pochi giorni. Dopo più di un mese nessuna tregua. Proprio mentre il Congresso chiede a Obama una giustificazione sull’intervento americano in Libia, la cui prosecuzione fino a settembre sottrarrà alle casse statunitensi oltre un miliardo di dollari, si fa insistente la voce di un attacco di terra da parte degli Usa previsto per ottobre, secondo un’informazione divulgata da Infowars.com. Non sembrano profilarsi all’orizzonte motivi per pensare che la guerra finirà a breve. Intanto l’Italia bombarda Tripoli più degli altri Paesi impegnati nella missione, con i Tornado dell’Aereonautica e gli AV-8B Plus della Marina. Non si tratta di semplici interventi di ricognizione o esplorazione, ma di veri e propri attacchi condotti nell’ambito della coalizione. Circa il 30%, in nome della Nato. Un’eventuale riduzione, fanno sapere La Russa e Frattini, avverrà sempre in nome della Nato. E mentre il Paese affoga in un delirio economico, tra tagli e rischi di declassamento, si sono spesi, secondo alcune fonti 700 milioni di euro, non preventivati nei fondi ordinari della Difesa, mentre secondo il sottosegretario Guido Crosetto (Pdl), «nei primi novanta giorni di intervento l’importo è ammontato a circa 145 milioni di euro per tre mesi di impiego del dispositivo aereo, delle navi e degli aiuti umanitari. Per i mesi successivi ipotizziamo invece un costo ulteriore di altri 35 milioni di euro al mese, con la configurazione di forze attuale». Una cifra sottratta ad altri investimenti che in Italia sarebbero più urgenti.

La costruzione del nemico e i civili
Un topos che si ripete. La preparazione e la costruzione di argomentazioni che giustifichino gli interventi militari attraverso la manipolazione mediatica. In principio furono le fosse comuni, semplici cimiteri come si poteva appurare osservando il perimetro delle singole fosse, poi è venuto il tempo degli stupri di massa operati, secondo l’autorevole voce di Hillary Clinton, ai danni della popolazione dalle forze di Gheddafi e usati come strumento di guerra. Un recente rapporto di Donatella Rovera, inviata di Amnesty International, svela i retroscena scomodi e fa luce sui crimini commessi anche dai ribelli libici. In pieno stile bellico. La stessa reporter smentisce le dichiarazioni della Clinton non essendoci valide prove a sostegno della tesi, ma piuttosto testimonianze di come i ribelli stiano commettendo crimini. Cade il confine tra bene e male, tra giusto e ingiusto e la guerra presenta il suo volto più feroce. Nessuna esportazione di civiltà, quella cara ai pubblicisti del conflitto italo-turco del 1912, quella necessaria a sconfiggere il fanatismo e la barbarie. Tutti sembrano dimenticare che Gheddafi è lì dal 1969 e non da qualche mese.

Intanto l’8 giugno è stato venduto il primo carico di petrolio da parte dei ribelli libici agli Stati Uniti. Un contratto che ha visto la cessione di 1,2 milioni di barili alla ditta la Tesoro, come riportato dalla Cnn. Fonte il Dipartimento di Stato statunitense. Sempre con i ribelli libici è stato siglato dal ministro Frattini l'accordo sul respingimento dei migranti, mentre Maroni propone che il blocco dei clandestini avvenga attraverso operazioni Nato. Intanto l’Italia li accoglie nei Centri di Identificazione ed Espulsione che somigliano sempre più a prigioni, aumentando a 18 mesi il periodo di detenzione. Senza diritto di conoscere il proprio destino o, se liberi, soggetti al fenomeno del lavoro nero. L’opinione pubblica invoca a voce alta i respingimenti forzati. Basta non avere altre braccia che sottraggano lavoro in Italia e non alimentare le fila di una criminalità cucita addosso al diverso, a chi fugge forzatamente da logiche innescate dallo stesso sistema occidentale.
Da gennaio sono morti 2.532 migranti nel Mediterraneo. Un cimitero d’acqua dove galleggiano, metaforicamente e non solo, corpi e sofferenze di persone costrette spesso forzatamente ad imbarcarsi. Retorica e populismo, nessun cenno al meccanismo causa-effetto delle politiche estere degli Stati interessati, in primis l’Italia, passata dalle frecce tricolori su Tripoli e dalle tende piantate a Roma a una “guerra” in nome della fedeltà all’America. Resta da capire chi è il vero nemico.

Droni contro umani. La guerra è per il momento questo. Ma dovremmo essere tranquilli. Ci hanno assicurato che si usano bombe intelligenti, di quelle che bombardi e colpisci solo gli obiettivi prefissati. Compresi civili, uomini, donne, bambini. Effetti collaterali. Il numero dei civili uccisi dalla coalizione dall’inizio della guerra in Libia non è ancora noto. Le cifre vengono snocciolate generalmente dopo mesi o anni, meticoloso frutto di relazioni stilate per fare il punto della guerra. Da marzo, sembra che la cifra si aggiri intorno alle 15mila vittime in entrambi gli schieramenti. In questi giorni due attacchi della coalizione hanno provocato morti, tanti, compresi i bambini. Ma la notizia ormai non fa neanche più scalpore, passa inosservata nei media tradizionali. E' la morte del “diverso” a non fare più notizia, a tratti salutata con toni di razzismo, come nella peggiore tradizione occidentale. La vita umana diventata merce. Le aree di guerra sono teatri dove smaltire arsenali bellici ormai obsoleti e testare nuove armi. Le organizzazioni umanitarie, intanto, lanciano l’allarme. Amnesty International, Human Rights Watch, Medici senza frontiere, chiedono di mettere al centro dell’attenzione i civili che, oltre ai bombardamenti, subiscono i danni dovuti alla totale assenza di assistenza sanitaria. Intanto la guerra continua.


Anche su http://www.agoravox.it/L-Italia-va-alla-guerra-i-costi-e.html?pagina=1

Stupri “correttivi” in Sud Africa. Il caso di Noxolo Nogwaza


La calciatrice ventiquattrenne Noxolo Nogwaza è stata rapita e brutalmente uccisa il 23 aprile scorso. Attivista della comunità LGBT, aveva anche lavorato per l'organizzazione Ekurhuleni Pride. Un altro caso tragico di stupro correttivo in Sudafrica si aggiunge alla lunga lista degli ultimi anni.

Succede nel Sudafrica del post-apartheid che festeggia il 17esimo anniversario dell’indipendenza. Succede in un Paese progressista, dove i matrimoni omosessuali sono legalizzati e sulla carta esiste una delle Costituzioni più moderne del mondo. Nello stesso Paese, una spirale di violenza quotidiana attraversa la società, nell’indifferenza generale della stampa e dei governi. Lo stupro “correttivo” come pratica di correzione dell’omosessualità e rieducazione delle lesbiche attraverso rapporti sessuali forzati è una prassi ormai consolidata che sfocia spesso nella distruzione fisica del diverso. Un fenomeno che coinvolge donne sudafricane, non solo povere ed emarginate, ma di colore, spesso ancora adolescenti al di sotto dei 16 anni di età. I dati sono allarmanti, il governo ha promesso, nelle ultime settimane di varare misure concrete per gli autori delle violenze, perché l’assassinio di Nogwaza è solo l’ultimo di una lunga serie, centinaia al giorno negli ultimi dieci anni, spesso con epiloghi tristi.


I numerosi casi, tornati alla ribalta della stampa negli ultimi anni grazie alla denuncia di associazioni nate a sostegno delle vittime, presentano le modalità tipiche di quello che può essere considerato un rito di rieducazione. Stessa spietatezza, stessa follia, stessa illogicità. E su Nogwaza è sceso il silenzio della stampa, tranne la diffusione della notizia su blog e testate in gran parte stranieri. Eppure la storia di Noxolo è simile a quella di Nokuthula Radebe, una ventenne uccisa qualche mese fa, a quella della campionessa di calcio Eudy Simelane o ad altri episodi come quello di Millicent Gaika, la cui vicenda era stata raccontata dall’Huffington Post a gennaio: legata, torturata e stuprata ripetutamente per cinque ore da un uomo che continuava a ripeterle di voler“correggere” la sua malattia.
Il mese scorso anche Noxolo Nogwaza torna a casa in una normalissima serata e viene brutalmente assassinata. La sua testa è fracassata, il viso irriconoscibile, i denti sparsi a terra e un preservativo è rimasto a fianco del corpo senza vita. L’associazione Luleki Sizwe (dall’unione dei nomi di due donne che sono morte a causa delle conseguenze di uno stupro correttivo, l'una di meningite e l'altra di Aids), già lo scorso anno ha lanciato una petizione per riconoscere lo stupro correttivo un vero e proprio crimine di discriminazione. Sulla complessità e sulle resistenze incontrate dall’iniziativa pesano fattori come l’accettazione da parte della comunità di pratiche di questo genere, il dilagante maschilismo della società sudafricana, la paura di denunciare e, non da ultimo, il silenzio della Chiesa cattolica che, in Paesi come l’Uganda, si è addirittura espressa a favore di leggi che puniscono le donne con la reclusione se colte in flagranza di reato. Laddove il reato è costituito dal diverso orientamento sessuale. La stessa condanna espressa da Francia, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Svezia e la minaccia di sospendere gli aiuti economici, sono stati interpretati come un tentativo di ingerenza di forze esterne nella sovranità dello Stato sudafricano.

Rompere il silenzio e denunciare gli stupri correttivi è il primo passo per comprendere che episodi come questi sono indicativi dello status delle donne. E quest’aspetto riguarda l’importanza del cammino dei diritti civili di tutti i Paesi del mondo.

PUubblicato anche su
http://www.agoravox.it/Stupri-correttivi-in-Sud-Africa-Il.html

domenica 20 marzo 2011

La cricca dei cinici



Ci vuole molta fantasia a immaginare che in una democrazia normale si susseguano una serie di dichiarazioni in pochi giorni, anche su tematiche diverse, rilasciate o rubate ai fuorionda senza ripercussioni di alcun tipo. Fantapolitica di un’Italia sempre più trascinata in un vortice di miopia, oltre il verosimile, spesso grottesco, in cui l’unico interesse è il “consenso”, unico traguardo le elezioni, unica posta in gioco la tenacia a rimanere saldamente ancorati alle poltrone, senza altre condizioni.
Il trattamento dello Stato come affare privato, come prolungamento dei propri pensieri personali, quasi un dialogo tra conoscenti al bar è la norma, con tanto di teoria del marketing e dell’immagine… Peccato che essa non dovrebbe mai prescindere dall’immaginario collettivo, quella sorta di contenitore in cui Evelyne Patlagen considera difficile discernere il confine tra l’inconscio e il suo emergere al livello culturale o, per dirla con la storica Luisa Passeini, “luogo di conflitti, sia politici, sia psicologici, dunque di natura e individuale e collettiva, in una delle aree della comunicazione interumana”.
Un coacervo di sensazioni, spesso al confine tra realtà e immaginazione, che non possono essere trascurate, soprattutto da un uomo come B. che vive di sondaggi. E così, nel giro di qualche giorno, di fronte a quelle che sono state lette come tragedie dell’umanità, esce allo scoperto il cinismo di alcuni ministri dell’attuale governo. Un cinismo spudorato, che non teme controffensive di alcun genere. A loro è concesso tutto. La serie di dichiarazioni si commenta da sola.
Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, dopo la netta presa di posizione contro ogni ripensamento del governo di fronte alla scelta nuclearista, il 18 marzo afferma:
E’ finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide tra un mese
Paolo Romani, ministro dello Sviluppo Economico, dopo la pausa di riflessione “doverosa” di fronte al disastro di Fukushima, dà un giudizio sul referendum:
Abbiamo davanti un referendum drammaticamente impopolare per noi. È pericoloso ma se tutto andava come doveva andare ce la potevamo cavare.
E’ finita. Ce la potevamo cavare. Così perdiamo le elezioni. Perché la cricca dei cinici conosce meglio di quanto pensiamo gli umori del popolo italiano, beatamente assorto nel de profundis senza speranza di risveglio e slanci di dignità, ma sa anche quanto possa influire l’onda emotiva sui risultati delle urne. Sull’immaginario e le sue paure si sa, si costruiscono persino le guerre.
E cinismo anche di fronte all’intervento in Libia, dove i ministri seguono ognuno la linea più consona al proprio ruolo senza guardare la poltrona del vicino.
E così il Senatùr si sente autorizzato a rilasciare dichiarazioni come questa:
"Ci sono ministri che parlano a vanvera. Rischiamo il petrolio e un'invasione di immigrati"
“Se dovessi fare degli accordi non li farei con la Francia o con gli americani ma con un popolo amico che parla la nostra lingua come quello della Svizzera perche’ fare accordi con Paesi troppo forti non conviene basta vedere quanto sta accadendo con l’invasione di prodotti e supermercati francesi nel nostro Paese”. La richiesta esplicita di Bossi di seguire la linea di cautela della Germania, è stata presto avallata dallo stesso Premier che ha ribadito: "L'Italia offre basi e appoggio logistico alla "coalizione di volenterosi" che sta imponendo con la forza la 'no fly zone'.Coalizione di volenterosi, voltafaccia e giri di valzer, e il maldestro tentativo di rassicurare gli italiani per non perdere ulteriori consensi:''La Libia non ha armi in grado di raggiungere Italia''.


Tutta racchiusa qui la posizione del governo, mentre Gheddafi minaccia ritorsioni nel Mediterraneo e Lampedusa è al collasso. Più cinici di così.