domenica 31 marzo 2013

Il Buthan e la “politica nazionale organica”: il primo paese con coltivazione al 100% biologica?




La Gross National Happiness (GNH) e il FIL, la felicità interna lorda, contrapposta al PIL dei sistemi occidentali per definire parametri di valutazione non standardizzati su base puramente economica. La felicità al centro dell’interesse politico del piccolo regno situato tra l’India e la Cina, alle pendici dell’Himalaya. Una comunità non priva di contraddizioni, considerata tra le più povere del mondo, dove il monarca Jigme Singye Wangchuck ha ben chiaro il valore etico della convivenza tra l’uomo e l’ecosistema. Armonia che tutti gli abitanti sostengono e incentivano.

Lho Mon, la terra delle tenebre, è uno dei nomi con cui viene indicata questa regione grande come la Svizzera, sferzata dai monsoni e con un clima alpino nella parte settentrionale e tropicale in quella meridionale. Si tratta di uno Stato in prevalenza agricolo, dove si coltivano riso, frutta, frumento e verdure, con vasti campi usati per l’allevamento di ovini, bovini e bovidi(i famosi yak) e un’organizzazione sociale che si basa anche sulla presenza comunità nomadi. Il Buthan della felicità, come risulta dalle interviste ai suoi abitanti, dove il connubio tra l’uomo e l’ambiente è diventato una scelta politica precisa: lavorare “in armonia con la natura” per produrre di più senza sacrificare la salute umana e senza alterare gli equilibri dell’ecosistema. Un contrasto che appare subito evidente rispetto alla comunità agricola indiana, dove il monopolio della Monsanto ha portato a un numero significativo di suicidi di agricoltori in rovina finanziaria.
La politica nazionale organica, così come viene definita, mette al bando OGM, pesticidi, erbicidi e prodotti spray a base di fluoro, assicurando un cibo di alta qualità per i 700.000 abitanti del Regno. Molti terreni del Buthan non sono mai stati contaminati da prodotti chimici e costituiscono una ricchezza per il Paese. La scelta di coltivare in maniera naturale al 100% porterebbe alla produzione di cibo “reale”, non modificato, come nella tradizione secolare delle comunità agricole umane. Quello che potrebbe apparire un privilegio dovrebbe essere in realtà l’esplicita richiesta globale e un modello quanto meno di riferimento per altri Stati soprattutto occidentali. Un’esigenza, quella di cambiare rotta per assicurare un futuro sostenibile all’uomo e al pianeta. Quando economia ed etica non vanno di pari passo.

martedì 26 marzo 2013

Ancora sulla strage di Aleppo e l’uso di armi chimiche da parte dei ribelli




“Più grande la bugia, più la gente la crederà. Sappiamo tutti chi ha pronunciato questa frase – ma funziona ancora. Bashar al-Assad possiede armi chimiche. Egli può usarle contro il suo popolo. Se lo fa, l’Occidente non starà a guardare. Abbiamo già sentito tutte questa cose lo scorso anno – e il regime di Assad più volte ha ribadito che se – avesse armi chimiche, non le userebbe mai contro il suo popolo”. (Robert Fisk – The Independent – 8 dicembre 2012)

Di fronte alla strage del 19 marzo ad Aleppo, i media occidentali hanno riportato il “giallo” sulle responsabilità. Le richieste del presidente Assad e della Russia sono state invece accolte dalll’ONU che ha ritenuto credibile la versione dei fatti fornita da Damasco e ha avviato una Commissione per accertare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’Esercito Libero. 26 morti e 110 feriti per lesioni da scoppio, ustioni e fratture ma anche per problemi respiratori legati all’utilizzo del cloro (CL17). Sarebbe questa la sostanza incriminata, tra le armi chimiche proibite di 2° livello per la tossicità, disciolta in soluzione salina e assemblata sotto forma di razzo, un manufatto lanciato da un’area vicina ad Al-Bab, quartiere controllato dal gruppo jihadista Al-Nusra.
Ad avvalorare la tesi che la responsabilità sia da addebitarsi all’ESL altri aspetti importanti: la morte di componenti dell’esercito lealista e la testimonianza di medici che hanno soccorso i feriti. Damasco ha condotto test su campioni di sangue delle vittime e analizzato detriti rimasti nel terreno già inviati agli esperti dell’Onu. Una fabbrica di cloro si trova a est di Aleppo, area controllata dai ribelli, ma è ancora più improbabile l’uso di un ordigno rudimentale e di bassa tecnologia da parte di un esercito convenzionale. I depositi chimici nelle mani sbagliate? E se il motivo di un nuovo intervento “umanitario” dovesse essere proprio il controllo delle armi chimiche da parte del gruppo Jabhat al-Nusra, considerato organizzazione terroristica dagli USA? Anche The Telegraph - in un articolo dell'8 febbraio - avverte sugli effetti della rivoluzione siriana. In alcune aree di Aleppo, uomini armati si aggirano per le strade di notte in cerca di lealisti del governo, altri sono criminali che cercano di rapire a scopo di estorsione o saccheggiare case. Appare chiaro a tutti che negli ultimi mesi il controllo è di gruppi jihadisti radicali, alcuni nella lista nera statunitense, propensi alla creazione di uno stato islamico intransigente nella Siria laica e multiculturale di Assad. Eppure i media mainstream sembrano confondere le acque. Più grande la bugia, più la gente la crederà.

lunedì 25 marzo 2013

La campagna di alfabetizzazione in Venezuela è riconosciuta dall’UNESCO. Ma nessuno ve lo dirà




Nel 2011 il Venezuela ha destinato il 10% delle risorse nazionali all’istruzione, permettendo l’accesso gratuito dei venezuelani al sistema pubblico e raggiungendo un indice di alfabetizzazione pari all’80% della popolazione. I dati, per rassicurare gli scettici, non vengono da statistiche di “regime” – come si ama definire nell’Occidente l’esperienza bolivariana – ma dall’UNESCO. In un rapporto pubblicato nel 2010 sull’educazione e la lotta all’analfabetismo, l’organizzazione mondiale ha riconosciuto pienamente la campagna di alfabetizzazione portata avanti attraverso numerose iniziative organizzate dal governo, con risultati sorprendenti. Una sfida vinta attraverso una capillare organizzazione sul territorio di scuole e “missioni”.
La relazione dell’Unesco, relativa al periodo compreso tra il 2000 e il 2010, sottolinea un notevole incremento sia dei bambini iscritti a scuola che dell’indice di sviluppo EDI che tende a misurare i progressi relativamente all’accesso, all’uguaglianza e alla qualità dell’insegnamento in base all’istruzione primaria universale, all’alfabetizzazione degli adulti e al tasso di abbandono scolastico. L’indice EDI è aumentato in pochi anni del 5,1%, permettendo al Venezuela di classificarsi 59esima su 128 paesi (primi Giappone e Norvegia, seconda Cuba, ultima la Nigeria, mentre gli Stati Uniti risultano esclusi dalla lista). Sempre secondo il rapporto UNESCO, Il Venezuela ha il secondo più alto tasso di America latina di registrazione nell’istruzione superiore: 83 per cento, indice che avvicina il Paese a realtà come la Finlandia (92 per cento).
In questi giorni nell’ambito progetto Canaima, che prevede l’alfabetizzazione tecnologica attraverso una maggiore diffusione di portatili ai bambini delle elementari, sono stati distribuiti altri computer con contenuti educativi in software libero GNU / Linux. Numero che si aggiunge ai 2.315.719 forniti, di cui 220.939 assemblati in Venezuela Il progetto educativo Canaima ha raggiunto bambini di tutte le parti del paese ed è stato implementato dal 2009 al fine di promuovere la formazione cultura e sociale, nonché di rafforzare il sistema educativo. Con una novità importante. Il Ministero dell'istruzione genera tutti i contenuti pedagogici attraverso un monitoraggio delle esigenze dei bambini e il centro nazionale di tecnologia dell'informazione ne programma i contenuti nel software libero.
Dal 2003 il governo venezolano ha lanciato una serie di iniziative a favore dell’istruzione: la missione Sucre (formazione universitaria per le persone che in precedenza erano escluse a causa del basso reddito), la missione Ribas (per fornire istruzione secondaria a studenti adulti) e la missione Robinson per l'alfabetizzazione di base. Sono state create più di 15 università pubbliche, alcune specialistiche, e nello scorso anno accademico si sono laureati 800mila medici, impegnati sul campo nei 10.000 ambulatori aperti nei vari quartieri.
La relazione dell'UNESCO non prende in considerazione i bambini che sono seguiti dal programma Senifa (National Autonomous Service of Attention to Infants and their Family), un’istituzione governativa che mira a fornire istruzione e assistenza ai bambini di età compresa fra i 0-6 anni, attraverso una Comunità denominata “Simoncitos” che spesso eroga piccole pensioni mensili alle madri per accudire i figli nella loro comunità.
Eduardo Galeano, scrittore e giornalista, nell’ormai celebre articolo sulla demonizzazione di Chavez, così scriveva:
“Hugo Chávez è un demonio. Perché? Perché ha alfabetizzato due milioni di venezuelani che non sapevano né leggere né scrivere pur vivendo in un paese che possiede la ricchezza naturale più importante del mondo che è il petrolio.
Io ho vissuto in quel paese per qualche anno e so molto bene come era. Lo chiamano “Venezuela Saudita” a causa del petrolio. C’erano due milioni di bambini che non potevano andare a scuola perché non avevano i documenti. Poi è arrivato un governo, questo governo diabolico, demoniaco, che fa cose elementari come dire: “I bambini devono essere ammessi a scuola con o senza documenti”.

Nell’Europa dell’austerity, con tagli massicci agli investimenti sociali (in primis sanità, scuola e cultura) e l’aumento delle spese militari, con un copione che lo stesso FMI ha definito recentemente austericidio, l’esperienza venezuelana, con tutte le falle che gli stessi rivoluzionari riconoscono, dovrebbe far riflettere.

sabato 23 marzo 2013

Pepe Mujica Premio Nobel per la Pace? Perché no?




Non ha mai indossato una cravatta e dona circa il 90 per cento del suo stipendio a un programma di espansione delle abitazioni per i poveri, vivendo con 800 dollari al mese assieme alla moglie, Lucía Topolansky. Ha una casetta nella periferia di Montevideo, collocata su un appezzamento di terra dove crescono i crisantemi in vendita nei mercati locali, senza persone di servizio e con due ufficiali che piantonano la casa parcheggiati in una strada sterrata. Per arrivare nella sua dimora bisogna attraversare boschetti di alberi di limone, ha un Maggiolino parcheggiato nel garage e una Vespa con cui ha scioccato i parcheggiatori del Parlamento che lo videro arrivare quando fu eletto deputato nel 2004. Erano gli anni del Broad Front, una coalizione di partiti di sinistra e di socialdemocratici più centristi, e Pepe fu nominato Ministro del bestiame, dell'agricoltura e della pesca. Nel 2010 la svolta: eletto presidente dell’Uruguay ha intrapreso un cammino di riforme puntando i riflettori sui diritti civili e sui più poveri, con iniziative attente all'ambiente come l’incentivazione di eolico e biomassa.

Il Presidente che rilascia interviste preparando il mate offerto in una zucca, che cita spesso il filosofo Seneca per giustificare la scelta di rinunciare ai simboli del potere e della ricchezza e che racchiude il tutto in una frase: “Non sono povero. Ho un paio di cose, è vero, il minimo, ma voglio avere il tempo da dedicare alle cose che mi motivano”.

Il dibattito più acceso Pepe Mujica lo ha suscitato parlando di legalizzazione della marijuana e del suo monopolio affidato allo Stato, misura atta a frenare la microcriminalità e allo stesso tempo le grandi organizzazioni malavitose che speculano sul consumo della droga. La battaglia di Pepe è chiara e decisa e passa per una nuova sfida: insegnare ai giovani il consumo della marijuana non attraverso il fumo ma utilizzandola con cibi come torte, ripieni, empanados o tisane o per condire mayonese e salse. La campagna è stata lanciata in linea con gli inviti del presidente della Corte Suprema di Giustizia, Jorge Ruibal: registrare i consumatori di marijuana ma allo stesso tempo legalizzarla e distribuirla per far uscire i giovani dal mercato della criminalità organizzata. Ed è proprio questo punto del programma, non gradito agli uruguaiani, a far avanzare la proposta da parte della ong olandese Drugs Peace Institute di conferire a Pepe Mujica il Premio Nobel per la Pace. La produzione, distribuzione e commercializzazione della marijuana sarebbe un’alternativa al traffico di droga illegale che alimenta un mercato di droghe anche pesanti. Secondo il presidente dell’Organizzazione, Frans Bronkhorst, “Mujica è il primo al mondo che ha proposto di mettere fine a questa guerra” attraverso un’iniziativa statale che, allo stesso tempo, porterebbe a una diminuzione netta dei crimini commessi dai minori per procurarsi la marijuana.
Ed il passato di Mujica come guerrigliero nei “Tupamarios” contro la dittatura?
“Ho imparato che si può sempre ricominciare”, ama ripetere il Presidente. Dopo i contrastanti e dibattuti conferimenti del Premio Nobel per la Pace a Obama e all’Europa, dovrebbe essere un problema?

venerdì 22 marzo 2013

Piano Condor, come destabilizzare l’America Latina. Il presidente del Brasile João Goulart fu assassinato?





L’ex Presidente del Brasile, João Goulart, potrebbe essere stato assassinato. Lo riferisce per la prima volta il governo brasiliano, riaprendo il caso sulla morte di Goulart, estromesso da un colpo di Stato militare il 31 marzo 1964 in cui prese il potere il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco, appoggiato dagli USA. Goulart fu accusato di essere «al servizio del comunismo internazionale», soprattutto in seguito a provvedimenti che introducevano la riforma agraria e la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere. L’omicidio rientrerebbe nel piano denominato Condor, una fitta rete di intrecci tra la Cia e le dittature sudamericane per coordinare e reprimere i dissidenti.
João morì in esilio in Argentina, nella provincia di Corrientes, nel 1976, ufficialmente per un attacco di cuore. La Comisión de la Verdad istituita dal Presidente Dilma Rousseff che intende investigare sui crimini della dittatura militare tra il 1964 e il 1985, ritiene invece che potrebbe essere stato vittima del piano Condor. Dopo il 1964 il Presidente aveva tentato di ricostituire un movimento per il ritorno della democrazia in Brasile, provocando l’immediata espulsione da parte del regime. In quello stesso periodo leader di partiti, attivisti, preti, studenti e insegnanti furono sottoposti a torture sistematiche da parte del regime e delle forze collegate al progetto Condor.
Il ministro dei diritti umani del Brasile, Maria do Rosario Nunes non esclude l’ipotesi, avvalorata dalla famiglia e da numerose testimonianze di persone vicine a Goulart. I militari brasiliani, in accordo con l’intelligence uruguaiana e argentina, seguirono i movimenti di João per anni, come confermato dall’ex agente denominato Marijo Barreiro Nera che era stato incaricato di spiare per 4 anni la vita del Presidente. L’ex agente nel 2008 rivelò che Goulart era stato avvelenato nell’ambito di un piano orchestrato dalla dittatura militare e dalla Cia.

giovedì 21 marzo 2013

La Siria, le armi chimiche dei ribelli e l’informazione occidentale.




Alla ricerca di prove che accelerino la destituzione di Assad attraverso un intervento degli Stati Uniti. Il “confine rosso” da non superare, come ripete in queste ore Obama, “scettico” sull’uso di armi chimiche da parte dell’Esercito Libero ad Aleppo. L’attacco di due giorni fa ha provocato la morte di 26 persone, civili e militari dell’Esercito regolare, e il ferimento di 110 persone. La doppia morale dell’Occidente e l’ambigua posizione della stampa.

Quando L’Esercito Libero mostrava il suo arsenale di armi chimiche….
La notizia è del dicembre 2012. Il fantomatico Esercito Libero mostrava in un video la possibilità di creare armi chimiche rivolgendosi al pubblico e annunciando che “quello era il destino degli alawiti e di coloro che li sostengono” (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=hDtVigGU0U4).
La posizione dei gruppi integralisti giocherebbe un ruolo importante. Già nel gennaio di quest’anno, gli oppositori del regime di Assad informavano di essere in possesso di armi chimiche da usare nel caso in cui il governo siriano avesse scelto la stessa via. Il consigliere politico dell’Esercito Libero Bassam-Al aveva riferito all’agenzia turca Anadolu che l’opposizione siriana era in grado di assemblare i componenti necessari per fabbricare armi biologiche. Il rappresentante della Siria alle Nazioni Unite, Bashar Jaafari aveva messo in guardia sul pericolo di attacchi per accusare Assad e aprire la strada all’invasione occidentale.
Lo spunto ancora più interessante è dato da una serie di articoli pubblicati da Tony Cartalucci sulla stampa estera, in cui l’autore ricostruisce le tappe che hanno segnato il passaggio dell’arsenale della Libia (caduto nelle mani degli estremisti grazie al sostegno della NATO nel 2011) a diverse aree africane. Già nel 2011, come riferiva The New York Times nel giugno dell’anno successivo, gruppi della Cia operavano nel Sud della Turchia per aiutare i ribelli. Gli Stati Uniti hanno non solo inviato armi pesanti a sostegno delle operazioni per rimuovere Assad, ma addestrato membri dell'ESL, come dimostrano due articoli della CNN del dicembre 2012 : “Gli USA addestrano i ribelli siriani sulla sicurezza delle armi chimiche“ e “Gli Stati Uniti e alcuni alleati europei utilizzano aziende private della difesa per addestrare i ribelli siriani su come proteggere le scorte di armi chimiche in Siria, hanno detto alla CNN un alto funzionario degli Stati Uniti e diversi diplomatici di alto livello.”
Le armi pesanti, compresi mortai, razzi a propulsione granate, missili anticarro, sarebbero arrivate direttamente dalla Libia e dal saccheggio degli arsenali e smistate dal Gruppo Combattente Islamico Libico di Al Qaida. Vale la pena ricordare che il 95% dei componenti dell’Esercito Libero - come ampiamente ammesso dalla stampa mainstream –non è siriano.

La testimonianza dei cristiani di Siria
Appoggiano Assad i cristiani della Siria. Non per condivisione di intenti e di amministrazione del Paese, ma perché convivono con altre minoranze in uno Stato che definiscono laico e multiculturale. Le parole di un cristiano siriano pubblicate sul blog Ora Pro Siria, sono un’ulteriore testimonianza che l’attacco sia arrivato dai ribelli: “Ieri i vostri Ribelli (dopo che la Francia ha detto che lei manda armi ai ribelli) hanno lasciato un missile con una carica chimica in una zona alleata al Governo siriano presso la zona di Aleppo: sono morte fino ieri sera 26 persone. La cosa più stupida che l'Occidente ha detto pur di difendere i loro ribelli: " noi non abbiamo prove che i ribelli abbiano fatto questo" .Ormai la maschera e' caduta e stiamo vedendo il vero volto dell'Occidente. I siriani per voi sono solamente un numero.Mma devo dirvi che questo numero si sta alzando in modo da fare paura (70 mila morti). Sono d'accordo che non sono morti nelle vostre mani, ma sono morti con le vostre armi ed il vostro permesso. Ormai in Siria e' arrivato altro tipo di turismo, e proviene da tutto il mondo (Francia-Inghelterra- Cecenia-Afganistan-Libia-Tunisia-Giordania-Egitto-Marocco-Cina-Yemen-Arabia Saudita- Qatar-Kuait-Iraq...): cercano il paradiso e le vergini”.

Persino l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ammette la morte di 16 soldati governativi…


La stampa occidentale sceglie la confusione di titoli e responsabilità, come ogni volta che gli indizi conducono ai ribelli. Spariscono i riferimenti ad attivisti che riferiscono di testimonianze di altre persone, si richiama moderatamente l’informazione del fantomatico Osservatorio Siriano per i diritti umani, organizzazione dell’opposizione con sede a Londra che seguirebbe via internet e telefonicamente le vicende della Siria. Eppure uno degli aspetti più rilevanti viene proprio dal comunicato dell’Osservatorio. Come riferisce l’AGI: “Per Rami Abdelrahman, direttore dell'Osservatorio, tra i morti ci sono 16 soldati governativi deceduti sul posto mentre in ospedale sono poi morte altre 10 persone non ancora identificate. Abdelrahman ha quindi precisato di non essere in grado di chiarire se siano state davvero impiegate armi chimiche né da chi, e si è limitato a definire l'accaduto un "attacco missilistico".
16 soldati governativi non sono un dettaglio irrilevante, assieme all’idea di far passare per credibile la logica per cui Assad, sotto osservazione da due anni, potrebbe usare armi chimiche contro il suo popolo e il suo esercito. Da qui la richiesta immediata da parte del governo siriano e della Russia di una Commissione di inchiesta indipendente dell’Onu che faccia luce sui crimini commessi dai ribelli. Altri episodi del genere sono stati falsificati dalla stampa occidentale. Oggi più che mai, la questione siriana, come ieri quella irachena e quella libica, apre una finestra sullo stato dell’informazione e sulla complicità di media nell’appoggio a scelte irreversibili della politica internazionale. Di avvenimenti falsi sulla Siria che hanno trovato ampia eco sulle pagine dei quotidiani e nella cronaca dei tg nostrani c’è un ampio repertorio, dalla strage di Hula a quella del pane . Una credibilità sempre più labile.

Un piccolo sguardo al passato recente…

Nel decimo anniversario dell’attacco all’Iraq, quando ormai sono note le bugie sulla presenza di armi di distruzione di massa nelle mani di Saddam, motivo che ha scatenato la guerra provocando 1 milione di vittime irachene, la costruzione del nemico passa ancora attraverso una propaganda mediatica attentamente orchestrata. Stesso copione nella Libia di Gheddafi. Nel febbraio 2011, nemmeno Human Rights Watch era stata in grado di confermare le di centinaia di morti denunciate da Ibrahim Dabbashi , vice rappresentante della Libia alle Nazioni Unite. Notizia subito ripresa e amplificata da Al-Arabya e a seguire da tutte le emittenti occidentali. L’uso di armi chimiche anche in Siria come tentativo di destabilizzare e forzare l’imposizione di un governo ad interim dopo la scelta del primo ministro eletto dai ribelli, Gassan Hitto? O alibi ben orchestrato che convincerebbe l’opinione pubblica sulla necessità di un attacco alla Siria?

Fonti:
http://www.voltairenet.org/article176900.html
http://www.youtube.com/watch?v=cSlwY8oZEwk&feature=player_embedded
http://www.youtube.com/watch?v=bgRssz8k9UQ&feature=player_embedded
http://www.voltairenet.org/article177920.html
http://oraprosiria.blogspot.com/2013/03/puntare-sulla-vittoria-militare-dei.html
http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/15/defector-admits-wmd-lies-iraq-war
http://landdestroyer.blogspot.jp/2013/03/nato-Proxies-using-WMDs-in-Syria-dozens.html
http://resistance71.wordpress.com/2013/03/20/ingerence-occidentale-en-Syrie-des-Armes-chimiques-pour-al-ciada-en-provenance-de-Libye/
http://mounadil.wordpress.com/2013/03/13/afghanistan-irak-libye-syrie-responsabilite-de-proteger-ou-droit-de-semer-la-mort-et-la-desolation/
http://aurorasito.wordpress.com/2013/03/20/gli-ascari-della-nato-usano-armi-chimiche-in-siria/
http://fr.rian.ru/world/20130319/197836060.html
http://www.sana-syria.com/eng/21/2013/03/19/473367.htm#
http://www.nytimes.com/2012/06/21/world/middleeast/cia-said-to-aid-in-steering-arms-to-syrian-rebels.html?pagewanted=all&_r=0

mercoledì 20 marzo 2013

Iraq, dieci anni dopo. La macchina della guerra e il genocidio




“Nessuna persona è stata ritenuta responsabile per una guerra illegale consapevolmente basata su menzogne costata miliardi e in cui sono morti 1 milione di iracheni" (Abby Martin, giornalista)

L'ex coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Iraq, Denis Halliday, ha parlato di genocidio. Un milione di persone morte negli ultimi nove anni, secondo uno studio del prestigioso British Polling Group (ORB), una cifra che supera il genocidio del Ruanda e si avvicina ai numeri della Cambogia degli anni Settanta, con indagini effettuate solo in 15 province sulle 18 irachene soggette a bombardamenti dalle forze di coalizione internazionale. Michael Schwartz sottolinea che la logica di questa carneficina si trova in una statistica pubblicata dai militari degli Stati Uniti e segnalata dall’Istituto Brookings: per i primi quattro anni di occupazione militare sono state inviate oltre 1.000 pattuglie ogni giorno (dal 2007 salite a 5.000) nei quartieri ostili, con lo scopo di catturare o uccidere "ribelli" e "terroristi".
Non solo pattuglie e bombardamenti con bombe “intelligenti” durante il conflitto che hanno ucciso centinaia di civili, più volte negati dalle forze anglo-americane intervenute in Iraq (meticolosamente censiti dal sito http://www.iraqbodycount.org/), ma anche gli effetti collaterali legati all’uso di proiettili di fosforo bianco (uso riconosciuto dagli stessi americani) e all'utilizzo di uranio impoverito, collegato agli alti tassi di cancro e ai difetti alla nascita. Una catastrofe umanitaria che assume confini inquietanti. A Fallujah centinaia di civili sono stati uccisi e un nuovo studio riporta l’aumento sconcertante di tumori, bambini nati con gravi malformazioni, disfunzioni cerebrali, difetti cardiaci e aumento dei tassi di aborto spontaneo. I livelli di contaminazione da piombo, uranio, diossina e mercurio nel sangue sono altissimi. Stesse caratteristiche a Bassora invasa dalle truppe britanniche. La popolazione irachena, prima di dieci anni fa, era già stata sottoposta a una combinazione di sanzioni e di attacchi aerei durante l’invasione del Kuwait che avevano impedito la ricostruzione delle infrastrutture del paese, impoverito la gente, minato l’assistenza medica di base.

Nel 1996, in un’intervista a a Madeleine Albright, la giornalista Lesley Stahl parlando delle sanzioni in Iraq si soffermava su un dato spaventoso: la morte di 500.000 bambini.

Lesley Stahl: We have heard that a half million children have died. I mean, that's more children than died in Hiroshima. And, you know, is the price worth it?
Secretary of State Madeleine Albright: I think this is a very hard choice, but the price--we think the price is worth it.


Il prezzo pagato ne vale la pena.


Il retroscena. Quando a Saddam vennero fornite armi chimiche…
La storia stessa ha spesso la memoria corta. Negli anni Ottanta, durante la decennale guerra con l’Iran, gli Stati Uniti avevano aiutato Hussein a sviluppare armi chimiche usate contro i curdi, tra cui, come riferisce il Guardian, il carbonchio ematico, ingredienti vitali per la composizione di armi chimiche e le bombe a grappolo vendute da un’organizzazione della Cia in Cile. Il via all’invasione del Kuwait fu dato anche a causa di un comunicato fuorviante dall'ambasciatore statunitense in Iraq, April Gillespie, che aveva dato l'impressione di una neutralità degli Stati Uniti in caso di attacco.
Fu l’inizio di una serie di massicci bombardamenti non solo di obiettivi militari, ma di infrastrutture civili essenziali. La non destituzione di Saddam era esclusivamente legata alla paura che l’Iran colmasse il vuoto lasciato dal dittatore, ma da quel momento tutta la politica americana fu idirizzata allo smantellamento dell’Iraq. Clinton avviò sanzioni pesanti e una no-fly zone sul nord curdo e sul sud sciita; Saddam fu costretto ad ammettere la presenza di ispettori che verificassero la presenza di armi di distruzioni di massa.
Nessuna arma chimica è stata trovata in Iraq, Il Christian Science Monitor aveva riferito che il programma di distruzione di massa iracheno era terminato nel 1991e persino l’Iraq Study Group della Cia - dopo l’invio di 1.750 esperti - non aveva trovato nessun sito sospetto. Già prima dell’inizio del conflitto, l’ispettore Scott Ritter aveva annunciato che l’Iraq non possedeva armi chimiche, biologiche o nucleari. Propaganda di guerra, con la complicità del giornalismo occidentale.

Non conclusioni
Si potrebbe non concludere così. Oggi l'Iraq è un paese pericoloso senza un vero governo democratico e dove sono continuamente violati i diritti umani. Il costo economico totale della guerra in Iraq è stato di $2 trilioni; quello “umano” di 4.486 soldati statunitensi morti e 1 milione di iracheni. Senza contare i casi di disturbo post traumatico mai verificati e una generazione che dovrà fare i conti con gli effetti collaterali delle “bombe intelligenti”. Eppure, nessun colpevole.


http://www.guardian.co.uk/world/2002/dec/31/iraq.politics

http://www.independent.co.uk/life-style/health-and-families/health-news/iraq-records-huge-rise-in-birth-defects-8210444.html
Video: Albright: 500,000 Child Deaths Worth Illegal Oil/Drug Wars http://www.youtube.com/watch?v=_Ftnw7YlDwQ
http://www.projectcensored.org/top-stories/articles/1-over-one-million-iraqi-deaths-caused-by-us-occupation/
http://www.osservatorioiraq.it/iraq-la-strage-degli-innocenti
http://www.spiegel.de/international/world/researchers-studying-high-rates-of-cancer-and-birth-defects-in-iraq-a-873225.html

martedì 19 marzo 2013

Cuba: agricoltura urbana come strategia per la sovranità alimentare






Nel nome delle multinazionali. Così si potrebbe brevemente riassumere il sistema agricolo su cui si basa l’Occidente civilizzato, con una serie di questioni aperte che negli ultimi anni stanno alimentando un dibattito acceso su produzione, sostenibilità e risorse. In un contesto dagli scenari catastrofici, gli spunti di riflessione offerti da una serie di lavori di Sinan Koont, docente di economia ed è coordinatore di Studi latinoamericani al Dickinson College di Carlisle, sull’agricoltura urbana cubana come strategia di sovranità alimentare possono apparire interessanti. Come conciliare spinte centripete e centrifughe della globalizzazione? Occorre ripensare il sistema di distribuzione delle risorse della Terra? Quali modelli? Localizzare per superare la crisi e opporsi alle spinte sovranazionali?
Uno sguardo all’Occidente: il problema della gestione delle risorse
Attualmente l’agricoltura occidentale è organizzata intorno alla produzione di cereali attraverso estensioni di tipo monoculturale. Il tutto finalizzato all’ingranaggio dei sistemi di allevamento intensivi. L’attuale consumo di carne nell’Occidente si aggira intorno agli 85-90 kg. pro capite annuali, con ripercussioni disastrose sull’ambiente e sulle risorse. Per favorire le monocolture, soprattutto mais la cui produzione necessita di ingenti quantità di acqua, da cinquanta anni si sono rotti gli equilibri dell’intero ecosistema, con divari evidenti tra nord e sud del mondo. Il 50% dei cereali prodotti (nei paesi poveri per lo più) viene utilizzata non per sfamare ma per produrre biocarburanti e per alimentare gli allevamenti intensivi. Si intuisce che un’agricoltura tradizionale non potrebbe assicurare una produzione e un consumo di carni così elevato. In un recente articolo pubblicato dal Guardian, Vandana Shiva ha puntato il dito contro multinazionali come la Monsanto, Dupont, Syngenta, Basf e Dow, che - nei paesi poveri e soprattutto in Africa - contrasterebbero un’agricoltura agro-ecologica (basata su semi tradizionali e coltivazioni differenziate) per incrementare un sistema industriale legato a OGM, fertilizzanti, pesticidi e monocolture. Il tutto in nome del denaro.
Sovranità alimentare?
Sinan Koont definisce sovranità alimentare “il diritto di ogni popolo a definire le proprie politiche riguardanti l'agricoltura, per proteggere e regolare la produzione agricola nazionale e dei mercati con l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile, per decidere in che misura si voglia aderire all’autosufficienza nel cibo e impedire ai mercati nazionali di essere inondati da prodotti sovvenzionati da altri paesi”. In Italia alcuni fenomeni sottolineano l’importanza di un ritorno ai localismi per contrapporsi a processi sempre più pressanti di globalizzazione: l’incentivazione dell’agricoltura a km. zero, di quella biologica, la nascita di monete di scambio locali, il dibattito sulla sentenza del 12 luglio, con cui la Corte di Giustizia della Unione Europea ha confermato il divieto di commercializzazione delle sementi tradizionali non iscritte nel catalogo europeo. Un regalo alle multinazionali, un divieto per gli agricoltori.

Cuba… o della sovranità alimentare come mezzo di sussistenza, tutela ambientale e gestione delle risorse
A causa dell’embargo che dal 1962 colpisce l’isola di Cuba, l’agricoltura urbana in forme definite evolute, ha costituito una delle possibili via d’uscita all’emergenza ma allo stesso tempo un modello alternativo al sistema capitalistico e di monopolio delle multinazionali. La capitale, con una popolazione di oltre 2 milioni di persone, ha giocato un ruolo importante nelle innovazioni agro-ecologiche e nella creazione di alternative alla monocultura. Come spiega Koont, a L’Avana più di 35.000 ettari di terra vengono utilizzati in agricoltura urbana utilizzando solo concimi biologici e tecniche naturali di controllo dei parassiti. Grazie ai sistemi organoponici (coltivazioni con il 50% di terreno e l’altra metà di sostanze organiche) si riescono a produrre 16 kg. di ortaggi per metro quadro - utilizzati anche per mense scolastiche e di ospedali – in 450 orti condotti da privati o da contadini. I prodotti, sempre freschi, vengono poi distribuiti in mercati locali.
La scelta di innovazione e di un cambiamento delle prospettive di gestione delle risorse interne avvenne a Cuba dopo il crollo dell'Unione Sovietica e la fine del commercio con il COMECON. Scarseggiando benzina, gasolio, macchine agricole, fertilizzanti e pesticidi gli sforzi si concentrarono sull’incentivazione della produzione agro-ecologica per far fronte alla crisi di produzione alimentare. Dal 1994 la terra è stata distribuita alle persone come parceleros o alle cooperative, sono stati incentivati i cortili coltivati ad uso familiare, piccoli appezzamenti individuali, aziende di stato e aree di autoconsumo. Nel 1997 i risultati del cambiamento sono stati evidenti: la produzione è aumentata e la dieta cubana ha beneficiato dell’introduzione di prodotti locali; le discariche sono state trasformate in terreno produttivo e l’occupazione è cresciuta.
L’impegno del governo cubano a partire dagli anni Ottanta è stato rivolto alla formazione di addetti al settore attraverso finanziamenti alla ricerca e l’apertura di centri e istituti professionali specializzati. La protezione ambientale e le innovazioni tecnologiche sono state riconosciute dal World Wilflife Fund e, nonostante le lacune da colmare e il cammino ancora in corso - Cuba rimane un esempio concreto di ripensamento della gestione della terra in chiave di sviluppo sostenibile. Il tutto con investimenti sociali che puntano all’occupazione e alla ricerca. Agricoltura agro-ecologica come possibile alternativa?



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sabato 16 marzo 2013

I resti di Neruda riesumati l’8 aprile: avvelenamento di Stato del regime di Pinochet?





Pablo Neruda morì il 23 settembre 1973, dodici giorni dopo il golpe militare che spodestò il presidente socialista Salvador Allende e portò al potere Augusto Pinochet. Morì nella stanza n. 406 della clinica Santa Maria di Santiago, alle 22.00, la stessa nella quale nel gennaio 1982 fu assassinato il democristiano Eduardo Frei Montalya per presunte “complicanze” sorte dopo un intervento chirurgico di routine. A riaprire il caso e a chiedere la riesumazione dei resti del Premio Nobel è il giudice Mario Carroza dopo la denuncia pubblica di Manuel Araya Osorio (assistente di Neruda dal novembre 1972, anno del suo ritorno dalla Francia, fino alla morte) e dopo la querela del Partito Comunista cileno.

La riesumazione si inserisce in un’indagine più complessa avviata da Carroza che riguarda 726 morti sospette seguite al golpe che portò Augusto Pinochet a instaurare la dittatura militare in Cile, in pieno accordo con la famigerata Operación Cóndor, un piano orchestrato dagli Stati Uniti e dalle dittature sudamericane negli anni Settanta e Ottanta per eliminare gi oppositori. Notizie non certo sconosciute a chi in questi giorni sta seguendo l’apertura del processo all’ex dittatore argentino Videla. Torture, rapimenti, violenze, avvelenamenti, persone scomparse dopo l’esilio, tra cui uruguaiani, argentini, cileni, paraguaiani, boliviani e peruviani. Quello aperto il mese scorso, è un processo che per la prima volta punta i riflettori sul piano Condor come cooperazione tra le dittature sudamericane e sui metodi utilizzati per eliminare fisicamente gli oppositori con l’aiuto ed il sostegno economico della Cia. Nel caso del Cile, sono 1.104 le cause ancora aperte per violazione dei diritti umani durante il regime di Pinochet e di particolare interesse le indagini sulla morte di Victor Jara nel 1973, ma anche di Alberto Bachelet nel 1974 e di Miguel Enríquez, il dirigente del Movimiento de Izquierda Revolucionario morto nel 1974.

La morte di Pablo Neruda, ufficialmente per cancro alla prostata, e i suoi ultimi giorni sono raccontati da Manuel Araya che visse in prima persona gli avvenimenti ma anche da Isabel Allende ne La casa degli spiriti. Dopo il colpo di stato dell'11 settembre, Neruda, la moglie e il resto degli abitanti della casa di Isla Negra erano stati isolati e l’unico contatto con il mondo esterno era una piccola radio dalla quale il poeta aveva appreso la notizia del golpe alle quattro del mattino dell’11 settembre 1973. Il 12 settembre una jeep con quattro soldati dal “volto dipinto di nero” aveva raggiunto Isla Negra per accertarsi della presenza del poeta e il 13 una quarantina di militari con mimetica e mitragliatrici avevano fatto irruzione nella casa, perquisendola e portando via degli oggetti. Di fronte alla casa era appostata una nave della Marina da diversi giorni.

La decisione di lasciare il paese per stabilirsi in Messico in attesa dell’appoggio degli “intellettuali e dei governi di tutto il mondo per rovesciare la tirannia e ricostruire la democrazia in Cile” sembrava l’unica via d’uscita. Isabel Allende così racconta quei giorni:

“La truppa gli aveva violato la casa, avevano rovistato tra le sue collezioni di conchiglie, di chiocciole, tra le sue farfalle, tra i suoi libri, tra i suoi quadri, tra i suoi versi inconclusi, cercando armi sovversive e comunisti nascosti finché il suo vecchio cuore di bardo non aveva cominciato a vacillare. Lo portarono alla capitale. Morì quattro giorni dopo e le ultime parole dell’uomo che aveva cantato alla vita furono: li fucilarono! Li fucilarono! Nessuno dei suoi amici poté stargli vicino nell’ora della morte, perché erano fuorilegge, profughi, esiliato o morti.”

I primi giorni nella clinica di Santiago erano trascorsi senza problemi. Il 22 settembre, l'Ambasciata del Messico, aveva reso disponibile l'aereo per la partenza prevista due giorni dopo. Araya e la moglie del poeta, Matilde, erano rientrati a Isla Negra per prendere le ultime memorie e altri effetti personali, lasciando il poeta con la sorella Laura. Era "in condizioni eccellenti”, ricorda Araya, "stava prendendo tutti i medicinali in compresse". Nel pomeriggio del 23 la telefonata di Neruda alla moglie, con la preghiera di raggiungerlo presto perché gli era stata fatta un’iniezione. "Quando siamo arrivati alla clinica – ricorda Araya - Neruda era febbricitante e molto arrossato. Disse che lo avevano bucato sullo stomaco ma non sapeva cosa gli fosse stato iniettato. Aveva una macchia rossa". Un medico aveva invitato Araya a comprare una medicina che non era disponibile in clinica e quando si era avviato verso il luogo consigliato era stato seguito, picchiato, colpito da un proiettile alla gamba e torturato. Era stato salvato dal cardinale Raúl Silva Henríquez.


Ma quanto vive l’uomo?
Vive mille anni o uno solo?
Vive una settimana o più secoli?
Per quanto tempo muore l’uomo?
Che vuol dire per sempre?


L’analista internazionale Fernando Buen Abad ritiene che le minacce del piano Condor persistano ancora in America Latina e nei continui tentativi di destabilizzazione dell’area latinoamericana. La morte di Pablo Neruda potrebbe inserirsi in un filo di eventi che lega il passato al presente, passando attraverso inquietanti scenari che sembrano a tratti surreali. Il diritto al colpo di stato e alle morti pianificate per fermare processi progressisti e di affermazione di autonomia?

lunedì 4 marzo 2013

La Grecia della crisi: le multinazionali bloccano e riducono i rifornimenti di farmaci



La recessione della Grecia, strangolata dal debito pubblico, è il chiaro segnale del fallimento delle politiche di austerity condivise da tecnici e politici in tutta l’Europa. Una spirale che sta avvolgendo il Paese e da cui non si vede via d’uscita, tra politiche di privatizzazione, svendita dei beni dello Stato e continui tagli degli investimenti sociali. Il tutto per pagare i debiti contratti con le banche dai governi che si sono succeduti attraverso piani di “aiuto” che soddisfano gli interessi delle banche private e non certo quelli del popolo greco, sempre più stretto nella morsa dei tagli e delle tasse. I prestiti della Troika concessi alla Grecia sono serviti a rimborsare i sistemi bancari privati occidentali o per favorire la ricapitalizzazione di quelli greci. Nessun intervento per il popolo, solo misure che stanno riducendo i cittadini all'indigenza, colpendoli nei bisogni primari. L’appuntamento questo mese con la Troika riguarda le richieste nel campo sanitario per il 2013, in un contesto che a molti osservatori esteri appare sempre più di crisi “umanitaria”. Dopo il blocco, a partire dal 26 febbraio, da parte della Croce Rossa elvetica del rifornimento di sangue per insolvenza, ad Atene, secondo quanto riportato dal Guardian, continuano a verificarsi scene caotiche per la ricerca di farmaci prescrivibili che gli ospedali si rifiutano di consegnare. A finire nel mirino del governo una cinquantina di industrie farmaceutiche, tra cui Pfizer, Roche, Sanofi, GlaxoSmithKline e AstraZeneca, accusate di aver bloccato o pianificato le spedizioni di farmaci nel paese. Le multinazionali si difendono attribuendo la carenza al commercio parallelo e alla speculazione sulla differenza dei costi (la Grecia ha i prezzi dei medicinali più bassi in Europa): alcune come Pfizer, Roche e Sanofi hanno ammesso di aver trattenuto dei prodotti, altre come GSK e AstraZeneca hanno negato le accuse. Le cause sarebbero riconducibili ai bassi profitti ricavati in un paese in piena crisi economica e alle fatture non pagate. A Salonicco i farmacisti raccontano di persone che cercano farmaci salvavita chiedendo di poter usufruire delle scorte nei magazzini, scorte non sempre disponibili, mente in tutta la Grecia scarseggiano circa trecento medicinali tra cui quelli per l'artrite, l'epatite C e l’ipertensione, per il colesterolo, gli antipsicotici, gli antibiotici, gli anestetici ma anche farmaci per i malati di cancro e di persone che soffrono di depressione clinica. Secondo Dimitris Karageorgiou, segretario dell’ Associazione panellenica dei farmacisti, la riduzione delle forniture di medicinali è stata drastica, sotto del 90%. Un’Europa sempre più lontana dai cittadini, come dimostrano le elezioni politiche in Italia e le manifestazioni a Lisbona dei giorni scorsi. Un’Europa in cui comincia a serpeggiare non più come malessere ma come sentimento ampiamente condiviso, l’idea che le misure attuate servano a impoverire i Paesi più che a sostenerli. Una sfasatura tra politica e cittadini che peserà sulle scelte dei governi e sul futuro della stessa Europa.