mercoledì 31 marzo 2021

redenzione

Dammi la tenerezza di un silenzio assottigliato

tra le ciglia di una redenzione o di un peccato.

Donami la certezza di una voce

che non sia mai remissione di una croce.


Art Vanessa Ho



martedì 30 marzo 2021

Cielo - Mare - Sabbia.

 Cielo - Mare - Sabbia.

Sabbia - Mare - Cielo.

Costruisco Mutevoli Silenzi

Sogno Malinconiche Carezze.


Art Egor Shapovalov




lunedì 29 marzo 2021

dieci cose

Cogliere tutta la notte l’insolita malinconia appesa a un filo di riluttante attesa. Non si può legare un sentimento senza essere quel sentimento, mi dico. È un viaggio tortuoso dentro le tue mani lontane, sono dieci cose, semplici e quasi banali prima di dirsi addio. Come quel film romantico, ricordi?, da un lieto fine sperato e mai accaduto. Uno. Bere un caffè insieme, il fondo della tazza disegna la speranza, è una lucciola senza campo che vaga tra giorni solo affiorati, sparge una luce un po’ fioca e contiene le vene del tempo, sopite, contiene le rughe di un luogo, quel luogo, calanchi ancora sognati. Due il sapore di un tramonto insieme, la scia raccoglie le ombre un po’ incerte, ridona e ridonda il suono del mare. Sono voci lontane, ricordano il viaggio del tempo nel mondo. Tre, mangiarsi mentre fuori piove. Sono briciole di pelle affiorata, sono altri desideri, ancora e poi ancora, sono sensi, di colpa o di colpo, sono piccole parti di cielo che si allargano sopra il mio corpo. Quattro. Cercarti dentro me, cercarmi dentro te. E la musica di un giorno passato, ero piccola, mi guardi sorpreso. Era il sogno di un’adolescenza, il trovarsi in un luogo già stato. Cinque. Toccarsi. Con lentezza, nel cercarsi e nel trovarsi. Un lungo viaggio su strade di pelle, tra il profumo del collo e del petto. È il viaggio di anime in pena, inquiete ricalcano vie, davanti agli occhi passa la vita. Sei. Tu sei fare l’amore guardandoti negli occhi, per scoprire ogni ruga che il tempo ha lasciato. Non fermarti, ti prego. C’è il sette che chiama, essere tua senza altri veli, senza remore, paure difese. Fai di me ciò che vuoi, tra i tuoi occhi di fumo e paura. Otto. Parlare abbracciati al risveglio, per dirti ti ho sempre aspettato. Tu dici ci provo a restare. Non andare, c’è la nove che può farti restare: guardarti mentre ti alzi dal letto, mi dici. È una danza di sensi e risvegli, di colori e sapori, il caffè che ricorda la tazza col fondo e un presagio. E la dieci? Il presagio. L'addio.

Ph. Alice Mumford









domenica 28 marzo 2021

per-donar-si

Per-donar-si. Donare a se stessi la parola per non perdersi.

A volte abbiamo bisogno solo di perdonare noi stessi per aver permesso di toglierci la luce. Anche un solo attimo.


Art Christian Schloe



s-guardarsi

 S-guardarsi. E si avvicina il cielo fino al cuore, sono riflessi di nuvole lontane. Si aprono gli spazi un po’ segreti: sono le tue velate ingenuità di ieri, sono i miei ingenui veli di un domani. E oggi, io ti s-guardo.

S-guardarsi, ancora. La quadra non è dritta, il cerchio punta dritto verso il cuore, poi rimbalza. Mi dice sono solo suggestioni, ti dice sono anche sensazioni.

Mi s-guardi. S-guardarmi. La s di ogni solitudine fa un giro dove corre un mio pensiero, guardarmi in un briciolo di  sogno, penombra di un’insolita carezza.

Ti s-guardo. S-guardarti. Si aprono voragini di luce, si scioglie densa ogni mia visione, è un luccichio di occhi presi in prestito è un tremolio di sogni sbalorditi.

Poi si riavvia lo s-guardo, respiro impercettibile di vita, atlante dove trovo la mia vita.


Art Malcolm T. Liepke




venerdì 26 marzo 2021

albe

 Si sveglia una notte e ha il tuo silenzio negli occhi.

Sono velate albe di una intima malinconia.


Olga Tamburini

Illustrazione Ghazaleh Rastgar



nella Berlino delle mie fragilità

Il posto delle mie malinconie è sovrappensiero, quando in quel pensiero ci sei tu. Ti infili col sorriso fino agli occhi, fai cenno da lontano, non ti vedo. Sto fissa occhi al cielo, nel posto delle mie malinconie. Sovrappensiero, ma tu riesci a riportarmi giù. Si fermano i rumori della noia, un angolo diventa tutto un mondo. Si inizia a far l’amore per la strada. Son suoni, sono sguardi, son parole. Mi spogli con un semplice sorriso, ti vesto per far spazio al mio pudore. E gli occhi intorno nuotano in silenzio, le solitudini che fluttuano un momento. È la bellezza di un pensiero proibito, espresso, detto, un codice d’onore. Impercettibili si muovono le piazze, ti adagi e scruti ogni mio sospiro. Le strade disegnano cartine, con la pazienza di esplorare ogni finestra. Tra le tue ciglia c’è una chiave persa. Il viaggio sulle cosce è solo un giro, in autobus nella Berlino delle mie vite. Fiancheggi il muro di ogni resistenza, sovrappensiero? mi dici, o solo stanca? Sovrappensiero, ti dico. Perché lì ci sei tu. S’appresta la tua mano sul mio fianco, poi un bacio scaccia via ogni paura. Tu portami sul ponte della Sprea, laggiù ho lasciato un giorno un vecchio sogno. È una poesia nascosta in un battello, che reclamava di tornare in vita. Lo ha fatto nei tuoi occhi e si è aperta la danza dei mie sensi e dei miei seni. Son trasparenze di cartine sulla schiena, ad annusare il primo bacio sulla pelle. Era di un uomo incontrato sulla strada che apriva i semi a una notte senza alba. Le dita che si apprestano e puntellano centimetri di voglie e di tormenti. Io qui, adesso, e mille volti fuori, l’inganno di altri occhi, e sotterfugi intorno. Le donne che han viaggiato nella testa, si fermano alla prossima stazione. Mi ascolti? Riprendo le mie cose dentro te. Le ho lasciate lì quando non c’ero, sono venuta apposta, tra sciami di pensieri e desideri. Nella battaglia delle mie fragilità, ti accolgo e resti, mi salvi un ponte aereo a ogni mio tormento.


Art Nadav Kander


giovedì 25 marzo 2021

nostalgia di un corpo

 Tu mi ricordi la nostalgia di un corpo

del mio tornare tra mari sconosciuti

dove sono nata o stata

 il tempo di una vita.

Tu resti il tormento di un domani,

quell’ombra lucida

tra il dire e il sentire.

E io naufraga respiro,


solo se respiri.


Art Susanna Majuri




in di me

Ti penso spesso, dici.
Spesso è il buio.
Spessa è la crosta,
spessa è la nebbia.
Spesso è il bosco dove ti perdi.
Tutto o niente
in me.
Di me.
Sempre.
Art Miriam Veil



mercoledì 24 marzo 2021

quando verrai

Quando verrai,
entra lentamente
sulla sacralità della me stessa bambina
che ogni sera abbraccia confusa
le sue fragilità.
Quando verrai,
socchiudi la porta
sulla luce di una finestra,
sono i sorrisi e i tramonti di figlia,
sguardo lontano
di una perduta necessità.
Quando verrai,
tieni nel cuore una parola
per la donna che sono,
una sola, mai al saldo,
che sappia attraversare
un silenzio
un bisogno
una croce.
Quando verrai da me,
abbi fede nell’uomo,
nel ventre di donna
che mi ha generato
che ti ha generato
nei figli di tutti che io ho messo al mondo.

Art Christos Pallantzas



Ho fatto un giro in una storia di parole già scritte

Ho fatto un giro in una storia di parole già scritte per altri, replicate in uno sforzo di fredda fantasia. Seduta sulla panchina di una città stanca o sul davanzale di un appuntamento qualsiasi a guardare le tre ore di aria per conoscere una libertà. Un’impresa di affinità irrisolte, un valzer d’aria con nuvole condensa di pensieri, tra strade troppo vuote dove non c’eravamo neanche noi: solo i luoghi comuni di un amore già vissuto, parole rifatte per l’uso: nome pronunciato a voce alta, mani, sguardo, occhi, la bocca no, forse quella è solo mia. Curiosi e disperati altri sguardi sono restati ad annusare da lontano un prologo o un epilogo, un’altra finestra aperta sulla necessità. Rimane la stanchezza di una matita per occhi che cola a raccogliere uno sguardo freddo e a rimuginare l’irrazionale parola del come sia stato possibile. Indietro una panchina occupata da altri fantasmi, un attico costoso se alzi gli occhi su in città, case belle con facciate di inutile essenza che non toccano nessuna delle rose del mio giardino. E un gesto, poco adatto all’occasione per osservare la reazione di una faccia buffa e indifferente. Tu a replicare passi già vissuti, io a sviscerare sentimenti per cercare una ragione.


Art Marcel René von Herrfeldt






martedì 23 marzo 2021

dove sei stato, dove non eri

 E ci siamo lasciati trasportare da questa insolita malinconia di giorni sfocati, io cercavo di salire le tue ombre come un gatto attorcigliato in ragionevoli acrobazie, tu di scendere lungo i miei fianchi assolto da un peccato che sapeva di presenze ricucite addosso a un abito da sera. È festa, stanno scendendo già i cavalli lungo la spiaggia. Lontani i falò contornano solitudine e tu, stampato come un’orma nel deserto di tutte le inquietudini di mille vite, ti abbassi a cercarmi. Io sono già onda in onda. Ti osservo e i miei occhi sbiadiscono i domani di nuove colazioni a letto, sbrindellate tra caffè troppo amari e imprecise briciole di tenerezza. Un boccone salato, come l’acqua che raccoglie il corpo, prospettiva di un palcoscenico di disarmate solitudini. Riesci a contarle? Sono mille, sono troppe, contiamo a quattro mani con la fantasia di un bambino dagli occhi assonnati o il rantolo della metro che ci ha portati lontani. Ancora solitudini. Ti portano dove sei stato, mi portano dove non eri.


Art Nigel Van Wieck



lunedì 22 marzo 2021

a rimarcare paure

Stasera ho un dettaglio di vita da ricamare nei tuoi pensieri. Sa di una presente nostalgia di mani intrecciate a cercar di sentire una carezza vera. Sa di odori non percepiti, tra ombre appannate che si fanno strada e un fango di desideri. E non c’è vita quando si sente poco il senso, mentre le luci intrecciano un panno di mancanze. L’ossimoro di occhi spenti, di un aversi per lasciarsi andare, il gomitolo di una casa che accoglie la notte e i fili si raccordano tra finestre di piedi scalzi, grida gioiose, cuscini vuoti. Poi la notte si avvia e spegne il sonno, ma c’è un sempre tornare ai propri sensi, c'è sempre un inatteso ricominciare, forse solo a rimarcare paure. Avrei voluto restare come una malinconia d’autunno da sciorinare davanti allo stupore di una foglia, mentre questa pagina si scrive da sola, il caffè di un’alba disegnata, dove si incontrano sogni e risvegli e la natura ricorda che è ormai primavera.


Art Chris Lyons



illusione di me

Tu ce l’hai un ricordo?

Ne ho tanti, di vita.

Un ricordo di noi.

Niente che non somigli a un’illusione.

Un’illusione?

Sì, non riguarda le cose che hai detto. Le parole volano, palloncini legati a fili di sentimenti momentanei, istantanee ritagliate per superare le proprie solitudini interiori, bisogni sospesi di riempire vuoti di vita, proiezioni di un sé ideale all’altro.

E cosa riguarda?

L’illusione di avermi, anche per un solo attimo, avuta.


Art Christian Schloe




domenica 21 marzo 2021

sonnecchia un tramonto

Sonnecchia un tramonto sui seni,

distendi la mano e abbassi la notte.

Bisogno di ombra, di buio sui corpi,

sentieri di mani ritornano al monte.

Si adagia un sospiro,

s’inarca la curva di bianche colline.

C’è un suono in attesa,

il tuo collo sentiero,

non passa la mente

tra dita soffuse.

Poi vertebre accese,

poi nuvole sparse sul petto,

la bocca respira.

Le cosce due ali di mare,

poi l’anca un gran tronco

posato su un letto di albe rifatte.

Ti abbassi, ritorni.

La pioggia ricade leggera

La bocca un silenzio di mille profumi.

Un incavo, il fianco,

la corsa continua,

tra afrore e sapore.

Nessuna paura. 


Art Egon Schiele







A/R

 - Ma pure tu, dai! Senza preavviso?

- Certo, le raccomandate andata e ritorno costano. E i ritorni spesso ti spiaccicano in faccia nuove impronte digitali. Ci hai mai pensato?

Con leggerezza, sempre.

Art R.F. Schabelitz, 1909



Anatomia di una gabbia qualunque

Ti scrivo da una storia non vera, di sicuro non originale, strascicata a un certo punto proprio quando doveva volare, lasciata sospesa, perché nel vuoto di un sentimento si riesce a creare la bolla per nutrire il sé. È una storia senza tempo perché di tutti i tempi, senza pace perché i conflitti portano altri conflitti, fino a forgiare le identità. È una storia con figuranti, attori, ballerini, i saltimbanchi di Picasso arenati tra cielo e sabbia, lo spettacolo della provvidenza di Bene, quando tra trilli di campanelle e un carillon un po’ inquieto - canzone che ti entra in testa -, “c’era una volta un re, no ragazzi, avete sbagliato”. Non c’era un re, neanche una regina, c’era uno spettacolo di avanguardia, due sedie sul palco, una fila di spettatori e una metacognizione di anime in pena. Su quelle sedie si alternavano bauli di speranze disattese, intermittenze da topi di Skinner, a un certo punto è sembrata una gabbia, dove qualcuno apriva e chiudeva la finestrella di aria, datemi 21 giorni di pace, 21 come una primavera. E in quello spazio illogico, incomprensibile, per il diritto stesso di una parola da spiegare, il confine tra il credere di far bene all’altro e l’egoismo era lama tagliente e sottile.

Ti scrivo da una storia vera, stavolta. Non è lo stesso originale, ma ricorda a tutti che ogni legame è un cerchio che si apre, che ognuno ha la sua scena e non si può uscire dalla propria. Su quel palcoscenico disegniamo tanti cerchi, dovrebbero essere i luoghi del sorriso, della cura, delle emozioni, del senso di vita, e qui permettiamo alle persone che vogliamo di entrare. I cerchi si possono chiudere, alcuni abbiamo il dovere di lasciarli scorrere dietro le quinte. Ci ricorderemo di loro, ne conserveremo l’energia, ma pensaci, non ne ricorderemo la pelle e l’odore.
Ti scrivo per questo, dovevi chiuderlo tu quel cerchio, nessuna controfigura di vita doveva portarmi in quel posto a disegnare una figura perfetta per far centrare gli eventi. Ti avrei detto, come ho detto, resta nel tuo passato, non lasciar andar via se serve a nutrirti ancora, perché non ho da averti né da perderti: sono libera di fronte alla me stessa consapevole nel mondo, al te che non si trova nel mondo e a chi condivide la scena vagando come un’ombra senza meta che appare e scompare eppure resta. Volevo dirti proprio questa, la sera è un po’ fredda e mi ricorda lo zucchero filato: non si fa del male stando nella vita degli altri, ma non chiudendo i cerchi. Sono solo punti visti dall’alto, persino minuscoli, a volte concentrici se ci infili dolori. Sono la chiave però, essenziale, per dire non sono nella tua vita, non ci sarò, ma di te mi posso fidare.
Art Pablo Picasso, I due saltimbanchi, 1901



sabato 20 marzo 2021

Quanto il tuo corpo ha incontrato il mio corpo

Quando il tuo corpo ha incontrato il mio corpo, ci siamo scordati di fare l’amore. È stato un restarci negli occhi, cercarci tra pieghe, cieli aperti sulla terra terre chiuse e un orizzonte. E un sorriso perso dove non mi conosco, dove non ti ritrovi. Olga Tamburini Ph. Aitor Frías & Cecilia Jiménez







venerdì 19 marzo 2021

solitudini

 

Tu la conosci la solitudine di un corpo

nell'alcova di una primavera?

Si aprono fiori dove sognano le tue mani

Si innestano semi dove sfiora il tuo pensiero.

La bocca ritaglia inquietudini dai tuoi occhi

Lo sguardo mi penetra e tace la mia follia

La malinconia appende il ghigno e la sua benda.

Rimani, è già l'alba.

C'è un sogno lontano.

C'è il mare.


Art Joseph Lorusso




vita

 Ciò che il sogno sfiora vive sempre di vita propria.

Olga
Art Lauren Rinaldi

giovedì 18 marzo 2021

esser-ci

 L’intelligenza della vita, quella applicata, frutto di una corretta interiorizzazione del dato esperenziale e culturale, contempla nel suo spazio la concezione della libertà come la forma più alta di consapevolezza. Nessuno deve dipendere dalla vita altrui, perché siamo in cammino verso l’ignoto e abbiamo la possibilità di condividere pezzi di strada più o meno lunghi con altre interiorità. Nello spazio di un qualsiasi legame sano non possono esistere manipolazioni, ricatti affettivi, violenze di qualsiasi tipo, meno che mai sulla profondità della mente e del cuore dell’altro. La più alta forma di libertà è volere la felicità altrui, anche se non corrisponde alle nostre aspettative e ai nostri egoismi spacciati per difesa dell’altro. Nello spazio di ogni legame, sacro nel momento che condividiamo qualcosa, pulito nella misura della resistenza decisa a equivoci, ambiguità e zone d’ombra si sta dentro o si sta fuori. Altre forme sono tossiche.


Art Lyse Marion






sonnecchio due punti lascia le persiane aperte

 C’era una promessa all’inizio tra noi, dirci tutto. Forse ci delude la parte dell’altro che in realtà cerchiamo in noi stessi, quel segreto che non riusciamo a pronunciare perché ci sembra azzardato, confuso, pericoloso. Mi sono innamorata di quest’idea, delle parole e dei pensieri, il sono qui un sentimento che mi rassicurava. Perché a un certo punto, nella solitudine consolidata di anni senza approdo, ho percepito come la voglia di fermarmi. Anche un solo attimo. Era l’improvviso e inaspettato desiderio, pure ingenuo, di immaginarmi in una scena: a occhi chiusi, tra due braccia, esattamente le tue, senza un pensiero, senza un’inquietudine. Così, lasciata a cullarmi noncurante del mondo a chiedermi dove fosse fino a quel momento quella pace del cuore inattesa. Ho desiderato l’immobilità di un momento, una scena dirai? No. Il ripetersi e il moltiplicarsi di migliaia di finestre sul mare, con un calice, la stanchezza accarezzata dai tuoi pensieri e il desiderio di corpi mai sazi. E ho voluto un dirti “ci sono” di fronte alle tue inquietudini, nuda, senza difese, a cercare di affrontare il tuo mare profondo come una vertigine, mai voragine pronta a divorarmi. Il non volerti cambiare, ma un tuo vuoto colmato dalla mia bocca. Mi sono immaginata serena, incosciente, quasi bambina mentre ti alzi e mi versi del vino, sonnecchio due punti lascia le persiane socchiuse. Arriverà l’alba!

Art Egon Schiele, Gli amanti, 1917

mercoledì 17 marzo 2021

dove come

Dove corrono le nuvole?

Tra pensieri un po' nostalgici.


Come sono le tue mani?

Sul mio seno e sui miei fianchi.

Dove è stata questa notte?

Radicata in un abbraccio.


Campanelli nei miei sogni

bende e sale

scrivo ancora

per cercarti o per scodarti.


Resterai?

Non conosco strategia

c'è il silenzio disarmante 

di saperti andare via.



Art Gabriel Pacheco





martedì 16 marzo 2021

Sono una donna

 Sono una donna alchemica,

non sono una donna chimica.
Puoi fermarti al mio corpo, solcarlo sulla pelle,
senza mai toccare l'anima, senza trasformazione.
Cerco la commistione di logiche e sentimenti,
lo sguardo sulla notte che preannuncia l’alba,
il senso di me stessa trovata dentro l’altro,
dove sono già stata un tempo
lontano e mai cercato.

Sono una donna forte, perché essenzialmente fragile.
Lenisco le ferite, le mie e le tue,
coi pezzi rotti a volte costruisco muri,
mai spazio al tuo rancore,
mai spazio alla vendetta.
Fuori da questo limite
ciò che mi avvelena:
vampiri energetici,
manipolatori cronici,
rapporti tossici e fiori già recisi.

Sono una donna fertile,
nel cuore mio si piantano semi quotidiani
aspetto primavere
l'inverno accoglie un sogno
ogni alba guarda sola
germogli alla finestra
di un sogno immaginato.

Sono una donna libera, per questo sono tua,
per questo so andar via e lasciare andare,
rendendo meno grave il peso dell’addio.
Il calice è soffrire
Per liberare te,
ma nulla mi è dovuto
che non sia desiderato.

Sono una donna eterea, mi hai se ci scegliamo,
oltre il tuo futuro,
dentro il mio presente.
La mia esistenza va,
sospesa verso il cielo,
tu prova a essere l’ancora
della mia fragilità.

Sono una donna.

Mi trovi in un dolore,
ti cerco in un sorriso.
Tu vieni a mente libera
Senza le tue zavorre,
senza il tuo passato
con le tue inquietudini
con le tue paure.
Ma tu, vieni a prendermi.


Olga Tamburini

Art Tiziano Riverso



lunedì 15 marzo 2021

Appuntamento

 Alle due e cinquantotto di ogni notte,

da quando il risveglio ti colse alle tre,

apro gli occhi e ti lascio passare

tra un dormiveglia di sogni placati.

Ho indossato la bocca più bella,

ho messo il rossetto che ami,

dove andrò, mi chiederai.

Dove sei, ti chiederò.

E così nel silenzio di ieri,

anche oggi ho appuntamento con te.


Art Gabriel Pacheco



fragile

Siamo fragili, è il nostro stesso essere umani. Ci arrampichiamo sugli specchi del passato che deformano dolori e sentimenti. Siamo fragili, ma è proprio in quel posto in cui ci osserviamo nudi di noi stessi e del mondo, che ci apprestiamo ogni volta a sentire altri occhi con sguardo semplice ed autentico.
In quel limbo un po’ respinto e un po’ voluto, dove un muro sembra sempre una difesa, permettiamo un incontro raro evanescente, con un’anima che crediamo possa comprendere. E si trovano silenziose fragilità, porte girevoli, che corrono veloci, dietro a un vortice dischiuso tra appartenenza e distanza, tra il darsi e il non dirsi.
Siamo stati fragili. Ci siamo aspettati senza mai trovarci, tu temevi il ricatto rassicurante di svelarti e non saperti più lasciare. Andar via o solo restare.
E stasera la fragilità è immaginarti dentro come un mare calmo mentre fuori c’è la pioggia e una paura percorre la mia mente. Tu la prendi e mi dici che anche oggi, come un ieri qualunque - che non esiste il futuro - avrai cura di me.







domenica 14 marzo 2021

da domani

Ti scrivo dal domani perché so che è stato un giorno triste.
E per dirti già che sarai ancora il mio pensiero.

Olga Tamburini

Art Gabriel Pacheco



tornare

 Vuoi, tu, essere il posto dove tornare?


Olga Tamburini


Art Nikolay Ninov









sabato 13 marzo 2021

nuvole

 C'era una nuvola come quella di Haas nel cielo del mare. Era un po' sua, di quel mare, tenuta legata ad un filo di nostalgia. Era un po' anche del vento, come quei sentimenti che ti sfiorano e ti cambiano per sempre. Ha impiegato il suo tempo per mutare, si è lasciata plasmare, non ha opposto resistenza. Si è lasciata accarezzare dai mille pensieri della gente col naso nel cielo. Le hanno detto di un dolore, di un amore, di due occhi persi e la paura del viversi un po'.


Olga Tamburini

Ph. Ernst Haas, "Bird in Flight 1959"