Dammi la tenerezza di un silenzio assottigliato
tra le ciglia di una redenzione o di un peccato.
Donami la certezza di una voce
che non sia mai remissione di una croce.
Art Vanessa Ho
Dammi la tenerezza di un silenzio assottigliato
tra le ciglia di una redenzione o di un peccato.
Donami la certezza di una voce
che non sia mai remissione di una croce.
Art Vanessa Ho
Cielo - Mare - Sabbia.
Sabbia - Mare - Cielo.
Costruisco Mutevoli Silenzi
Sogno Malinconiche Carezze.
Art Egor Shapovalov
Cogliere tutta la notte l’insolita malinconia appesa a un filo di riluttante attesa. Non si può legare un sentimento senza essere quel sentimento, mi dico. È un viaggio tortuoso dentro le tue mani lontane, sono dieci cose, semplici e quasi banali prima di dirsi addio. Come quel film romantico, ricordi?, da un lieto fine sperato e mai accaduto. Uno. Bere un caffè insieme, il fondo della tazza disegna la speranza, è una lucciola senza campo che vaga tra giorni solo affiorati, sparge una luce un po’ fioca e contiene le vene del tempo, sopite, contiene le rughe di un luogo, quel luogo, calanchi ancora sognati. Due il sapore di un tramonto insieme, la scia raccoglie le ombre un po’ incerte, ridona e ridonda il suono del mare. Sono voci lontane, ricordano il viaggio del tempo nel mondo. Tre, mangiarsi mentre fuori piove. Sono briciole di pelle affiorata, sono altri desideri, ancora e poi ancora, sono sensi, di colpa o di colpo, sono piccole parti di cielo che si allargano sopra il mio corpo. Quattro. Cercarti dentro me, cercarmi dentro te. E la musica di un giorno passato, ero piccola, mi guardi sorpreso. Era il sogno di un’adolescenza, il trovarsi in un luogo già stato. Cinque. Toccarsi. Con lentezza, nel cercarsi e nel trovarsi. Un lungo viaggio su strade di pelle, tra il profumo del collo e del petto. È il viaggio di anime in pena, inquiete ricalcano vie, davanti agli occhi passa la vita. Sei. Tu sei fare l’amore guardandoti negli occhi, per scoprire ogni ruga che il tempo ha lasciato. Non fermarti, ti prego. C’è il sette che chiama, essere tua senza altri veli, senza remore, paure difese. Fai di me ciò che vuoi, tra i tuoi occhi di fumo e paura. Otto. Parlare abbracciati al risveglio, per dirti ti ho sempre aspettato. Tu dici ci provo a restare. Non andare, c’è la nove che può farti restare: guardarti mentre ti alzi dal letto, mi dici. È una danza di sensi e risvegli, di colori e sapori, il caffè che ricorda la tazza col fondo e un presagio. E la dieci? Il presagio. L'addio.
Ph. Alice Mumford
Per-donar-si. Donare a se stessi la parola per non perdersi.
A volte abbiamo bisogno solo di perdonare noi stessi per aver permesso di toglierci la luce. Anche un solo attimo.
Art Christian Schloe
S-guardarsi. E si avvicina il cielo fino al cuore, sono riflessi di nuvole lontane. Si aprono gli spazi un po’ segreti: sono le tue velate ingenuità di ieri, sono i miei ingenui veli di un domani. E oggi, io ti s-guardo.
S-guardarsi, ancora.
La quadra non è dritta, il cerchio punta dritto verso il cuore, poi rimbalza. Mi
dice sono solo suggestioni, ti dice sono anche sensazioni.
Mi s-guardi. S-guardarmi. La s di ogni solitudine fa
un giro dove corre un mio pensiero, guardarmi in un briciolo di sogno, penombra di un’insolita carezza.
Ti s-guardo. S-guardarti. Si aprono voragini di luce,
si scioglie densa ogni mia visione, è un luccichio di occhi presi in prestito è
un tremolio di sogni sbalorditi.
Poi si riavvia lo s-guardo,
respiro impercettibile di vita, atlante dove trovo la mia vita.
Art Malcolm T. Liepke
Si sveglia una notte e ha il tuo silenzio negli occhi.
Sono velate albe di una intima malinconia.
Il posto delle mie malinconie è sovrappensiero, quando in quel pensiero ci sei tu. Ti infili col sorriso fino agli occhi, fai cenno da lontano, non ti vedo. Sto fissa occhi al cielo, nel posto delle mie malinconie. Sovrappensiero, ma tu riesci a riportarmi giù. Si fermano i rumori della noia, un angolo diventa tutto un mondo. Si inizia a far l’amore per la strada. Son suoni, sono sguardi, son parole. Mi spogli con un semplice sorriso, ti vesto per far spazio al mio pudore. E gli occhi intorno nuotano in silenzio, le solitudini che fluttuano un momento. È la bellezza di un pensiero proibito, espresso, detto, un codice d’onore. Impercettibili si muovono le piazze, ti adagi e scruti ogni mio sospiro. Le strade disegnano cartine, con la pazienza di esplorare ogni finestra. Tra le tue ciglia c’è una chiave persa. Il viaggio sulle cosce è solo un giro, in autobus nella Berlino delle mie vite. Fiancheggi il muro di ogni resistenza, sovrappensiero? mi dici, o solo stanca? Sovrappensiero, ti dico. Perché lì ci sei tu. S’appresta la tua mano sul mio fianco, poi un bacio scaccia via ogni paura. Tu portami sul ponte della Sprea, laggiù ho lasciato un giorno un vecchio sogno. È una poesia nascosta in un battello, che reclamava di tornare in vita. Lo ha fatto nei tuoi occhi e si è aperta la danza dei mie sensi e dei miei seni. Son trasparenze di cartine sulla schiena, ad annusare il primo bacio sulla pelle. Era di un uomo incontrato sulla strada che apriva i semi a una notte senza alba. Le dita che si apprestano e puntellano centimetri di voglie e di tormenti. Io qui, adesso, e mille volti fuori, l’inganno di altri occhi, e sotterfugi intorno. Le donne che han viaggiato nella testa, si fermano alla prossima stazione. Mi ascolti? Riprendo le mie cose dentro te. Le ho lasciate lì quando non c’ero, sono venuta apposta, tra sciami di pensieri e desideri. Nella battaglia delle mie fragilità, ti accolgo e resti, mi salvi un ponte aereo a ogni mio tormento.
Art Nadav Kander
Tu mi ricordi la nostalgia di un corpo
del mio tornare tra mari sconosciuti
dove sono nata o stata
il tempo di una vita.
Tu resti il tormento di un domani,
quell’ombra lucida
tra il dire e il sentire.
E io naufraga respiro,
solo se respiri.
Art Susanna Majuri
Ho fatto un giro in una storia di parole già scritte per altri, replicate in uno sforzo di fredda fantasia. Seduta sulla panchina di una città stanca o sul davanzale di un appuntamento qualsiasi a guardare le tre ore di aria per conoscere una libertà. Un’impresa di affinità irrisolte, un valzer d’aria con nuvole condensa di pensieri, tra strade troppo vuote dove non c’eravamo neanche noi: solo i luoghi comuni di un amore già vissuto, parole rifatte per l’uso: nome pronunciato a voce alta, mani, sguardo, occhi, la bocca no, forse quella è solo mia. Curiosi e disperati altri sguardi sono restati ad annusare da lontano un prologo o un epilogo, un’altra finestra aperta sulla necessità. Rimane la stanchezza di una matita per occhi che cola a raccogliere uno sguardo freddo e a rimuginare l’irrazionale parola del come sia stato possibile. Indietro una panchina occupata da altri fantasmi, un attico costoso se alzi gli occhi su in città, case belle con facciate di inutile essenza che non toccano nessuna delle rose del mio giardino. E un gesto, poco adatto all’occasione per osservare la reazione di una faccia buffa e indifferente. Tu a replicare passi già vissuti, io a sviscerare sentimenti per cercare una ragione.
Art Marcel René von Herrfeldt
E ci siamo lasciati trasportare da questa insolita malinconia di giorni sfocati, io cercavo di salire le tue ombre come un gatto attorcigliato in ragionevoli acrobazie, tu di scendere lungo i miei fianchi assolto da un peccato che sapeva di presenze ricucite addosso a un abito da sera. È festa, stanno scendendo già i cavalli lungo la spiaggia. Lontani i falò contornano solitudine e tu, stampato come un’orma nel deserto di tutte le inquietudini di mille vite, ti abbassi a cercarmi. Io sono già onda in onda. Ti osservo e i miei occhi sbiadiscono i domani di nuove colazioni a letto, sbrindellate tra caffè troppo amari e imprecise briciole di tenerezza. Un boccone salato, come l’acqua che raccoglie il corpo, prospettiva di un palcoscenico di disarmate solitudini. Riesci a contarle? Sono mille, sono troppe, contiamo a quattro mani con la fantasia di un bambino dagli occhi assonnati o il rantolo della metro che ci ha portati lontani. Ancora solitudini. Ti portano dove sei stato, mi portano dove non eri.
Tu ce l’hai un ricordo?
Ne ho tanti, di vita.
Un ricordo
di noi.
Niente che
non somigli a un’illusione.
Un’illusione?
Sì, non
riguarda le cose che hai detto. Le parole volano, palloncini legati a fili di
sentimenti momentanei, istantanee ritagliate per superare le proprie solitudini
interiori, bisogni sospesi di riempire vuoti di vita, proiezioni di un sé
ideale all’altro.
E cosa
riguarda?
L’illusione
di avermi, anche per un solo attimo, avuta.
Art Christian Schloe
Sonnecchia un tramonto sui seni,
distendi la mano e abbassi la notte.
Bisogno di ombra, di buio sui corpi,
sentieri di mani ritornano al monte.
Si adagia un sospiro,
s’inarca la curva di bianche colline.
C’è un suono in attesa,
il tuo collo sentiero,
non passa la mente
tra dita soffuse.
Poi vertebre accese,
poi nuvole sparse sul petto,
la bocca respira.
Le cosce due ali di mare,
poi l’anca un gran tronco
posato su un letto di albe rifatte.
Ti abbassi, ritorni.
La pioggia ricade leggera
La bocca un silenzio di mille profumi.
Un incavo, il fianco,
la corsa continua,
tra afrore e sapore.
Nessuna paura.
Art Egon Schiele
- Ma pure tu, dai! Senza preavviso?
Ti scrivo da una storia non vera, di sicuro non originale, strascicata a un certo punto proprio quando doveva volare, lasciata sospesa, perché nel vuoto di un sentimento si riesce a creare la bolla per nutrire il sé. È una storia senza tempo perché di tutti i tempi, senza pace perché i conflitti portano altri conflitti, fino a forgiare le identità. È una storia con figuranti, attori, ballerini, i saltimbanchi di Picasso arenati tra cielo e sabbia, lo spettacolo della provvidenza di Bene, quando tra trilli di campanelle e un carillon un po’ inquieto - canzone che ti entra in testa -, “c’era una volta un re, no ragazzi, avete sbagliato”. Non c’era un re, neanche una regina, c’era uno spettacolo di avanguardia, due sedie sul palco, una fila di spettatori e una metacognizione di anime in pena. Su quelle sedie si alternavano bauli di speranze disattese, intermittenze da topi di Skinner, a un certo punto è sembrata una gabbia, dove qualcuno apriva e chiudeva la finestrella di aria, datemi 21 giorni di pace, 21 come una primavera. E in quello spazio illogico, incomprensibile, per il diritto stesso di una parola da spiegare, il confine tra il credere di far bene all’altro e l’egoismo era lama tagliente e sottile.
Quando il tuo corpo ha incontrato il mio corpo, ci siamo scordati di fare l’amore. È stato un restarci negli occhi, cercarci tra pieghe, cieli aperti sulla terra terre chiuse e un orizzonte. E un sorriso perso dove non mi conosco, dove non ti ritrovi. Olga Tamburini Ph. Aitor Frías & Cecilia Jiménez
Tu la conosci la solitudine di un corpo
nell'alcova di una primavera?
Si aprono
fiori dove sognano le tue mani
Si innestano
semi dove sfiora il tuo pensiero.
La bocca
ritaglia inquietudini dai tuoi occhi
Lo sguardo
mi penetra e tace la mia follia
La
malinconia appende il ghigno e la sua benda.
Rimani, è
già l'alba.
C'è un sogno
lontano.
C'è il mare.
Art Joseph Lorusso
L’intelligenza della vita, quella applicata, frutto di una corretta interiorizzazione del dato esperenziale e culturale, contempla nel suo spazio la concezione della libertà come la forma più alta di consapevolezza. Nessuno deve dipendere dalla vita altrui, perché siamo in cammino verso l’ignoto e abbiamo la possibilità di condividere pezzi di strada più o meno lunghi con altre interiorità. Nello spazio di un qualsiasi legame sano non possono esistere manipolazioni, ricatti affettivi, violenze di qualsiasi tipo, meno che mai sulla profondità della mente e del cuore dell’altro. La più alta forma di libertà è volere la felicità altrui, anche se non corrisponde alle nostre aspettative e ai nostri egoismi spacciati per difesa dell’altro. Nello spazio di ogni legame, sacro nel momento che condividiamo qualcosa, pulito nella misura della resistenza decisa a equivoci, ambiguità e zone d’ombra si sta dentro o si sta fuori. Altre forme sono tossiche.
Art Lyse Marion
C’era una promessa all’inizio tra noi, dirci tutto. Forse ci delude la parte dell’altro che in realtà cerchiamo in noi stessi, quel segreto che non riusciamo a pronunciare perché ci sembra azzardato, confuso, pericoloso. Mi sono innamorata di quest’idea, delle parole e dei pensieri, il sono qui un sentimento che mi rassicurava. Perché a un certo punto, nella solitudine consolidata di anni senza approdo, ho percepito come la voglia di fermarmi. Anche un solo attimo. Era l’improvviso e inaspettato desiderio, pure ingenuo, di immaginarmi in una scena: a occhi chiusi, tra due braccia, esattamente le tue, senza un pensiero, senza un’inquietudine. Così, lasciata a cullarmi noncurante del mondo a chiedermi dove fosse fino a quel momento quella pace del cuore inattesa. Ho desiderato l’immobilità di un momento, una scena dirai? No. Il ripetersi e il moltiplicarsi di migliaia di finestre sul mare, con un calice, la stanchezza accarezzata dai tuoi pensieri e il desiderio di corpi mai sazi. E ho voluto un dirti “ci sono” di fronte alle tue inquietudini, nuda, senza difese, a cercare di affrontare il tuo mare profondo come una vertigine, mai voragine pronta a divorarmi. Il non volerti cambiare, ma un tuo vuoto colmato dalla mia bocca. Mi sono immaginata serena, incosciente, quasi bambina mentre ti alzi e mi versi del vino, sonnecchio due punti lascia le persiane socchiuse. Arriverà l’alba!
Dove corrono le nuvole?
Tra pensieri un po' nostalgici.
Come sono le tue mani?
Sul mio seno e sui miei fianchi.
Dove è stata questa notte?
Radicata in un abbraccio.
Campanelli nei miei sogni
bende e sale
scrivo ancora
per cercarti o per scodarti.
Resterai?
Non conosco strategia
c'è il silenzio disarmante
di saperti andare via.
Art Gabriel Pacheco
Sono una donna alchemica,
Alle due e cinquantotto di ogni notte,
da quando il risveglio ti colse alle tre,
apro gli occhi e ti lascio passare
tra un dormiveglia di sogni placati.
Ho indossato la bocca più bella,
ho messo il rossetto che ami,
dove andrò, mi chiederai.
Dove sei, ti chiederò.
E così nel silenzio di ieri,
anche oggi ho appuntamento con te.
Art Gabriel Pacheco
C'era una nuvola come quella di Haas nel cielo del mare. Era un po' sua, di quel mare, tenuta legata ad un filo di nostalgia. Era un po' anche del vento, come quei sentimenti che ti sfiorano e ti cambiano per sempre. Ha impiegato il suo tempo per mutare, si è lasciata plasmare, non ha opposto resistenza. Si è lasciata accarezzare dai mille pensieri della gente col naso nel cielo. Le hanno detto di un dolore, di un amore, di due occhi persi e la paura del viversi un po'.