domenica 21 marzo 2021

Anatomia di una gabbia qualunque

Ti scrivo da una storia non vera, di sicuro non originale, strascicata a un certo punto proprio quando doveva volare, lasciata sospesa, perché nel vuoto di un sentimento si riesce a creare la bolla per nutrire il sé. È una storia senza tempo perché di tutti i tempi, senza pace perché i conflitti portano altri conflitti, fino a forgiare le identità. È una storia con figuranti, attori, ballerini, i saltimbanchi di Picasso arenati tra cielo e sabbia, lo spettacolo della provvidenza di Bene, quando tra trilli di campanelle e un carillon un po’ inquieto - canzone che ti entra in testa -, “c’era una volta un re, no ragazzi, avete sbagliato”. Non c’era un re, neanche una regina, c’era uno spettacolo di avanguardia, due sedie sul palco, una fila di spettatori e una metacognizione di anime in pena. Su quelle sedie si alternavano bauli di speranze disattese, intermittenze da topi di Skinner, a un certo punto è sembrata una gabbia, dove qualcuno apriva e chiudeva la finestrella di aria, datemi 21 giorni di pace, 21 come una primavera. E in quello spazio illogico, incomprensibile, per il diritto stesso di una parola da spiegare, il confine tra il credere di far bene all’altro e l’egoismo era lama tagliente e sottile.

Ti scrivo da una storia vera, stavolta. Non è lo stesso originale, ma ricorda a tutti che ogni legame è un cerchio che si apre, che ognuno ha la sua scena e non si può uscire dalla propria. Su quel palcoscenico disegniamo tanti cerchi, dovrebbero essere i luoghi del sorriso, della cura, delle emozioni, del senso di vita, e qui permettiamo alle persone che vogliamo di entrare. I cerchi si possono chiudere, alcuni abbiamo il dovere di lasciarli scorrere dietro le quinte. Ci ricorderemo di loro, ne conserveremo l’energia, ma pensaci, non ne ricorderemo la pelle e l’odore.
Ti scrivo per questo, dovevi chiuderlo tu quel cerchio, nessuna controfigura di vita doveva portarmi in quel posto a disegnare una figura perfetta per far centrare gli eventi. Ti avrei detto, come ho detto, resta nel tuo passato, non lasciar andar via se serve a nutrirti ancora, perché non ho da averti né da perderti: sono libera di fronte alla me stessa consapevole nel mondo, al te che non si trova nel mondo e a chi condivide la scena vagando come un’ombra senza meta che appare e scompare eppure resta. Volevo dirti proprio questa, la sera è un po’ fredda e mi ricorda lo zucchero filato: non si fa del male stando nella vita degli altri, ma non chiudendo i cerchi. Sono solo punti visti dall’alto, persino minuscoli, a volte concentrici se ci infili dolori. Sono la chiave però, essenziale, per dire non sono nella tua vita, non ci sarò, ma di te mi posso fidare.
Art Pablo Picasso, I due saltimbanchi, 1901



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