Mi hai portato a fare un giro in bella copia, ma io non ti
ho mai chiesto vieni al mare. Non c’era posto per un esercizio di pura follia, raccogliere
più occhi e restare a guardare. Sei rimasto fermo nell’immagine di una
panchina, dove il cielo cadeva nelle notti stellate della primavera. Si adagiava
su dolori passati, lieve e a tratti inquieta. Io ti seguivo in un passaggio di
malcelata lucidità: attraversare me stessa per restare dove sono, in un mondo
pulito e essenziale, attraversare te per portarti dove sei già. E non è un
posto gentile né vero, come racconti a te stesso. È fatto di un castello di
piccoli grandi alibi che riproponi puntualmente, due occhi moltiplicati per il
senso di inquietudine che ogni uomo si porta nel cuore. Ti ringrazio per aver squarciato
il velo sugli stereotipi della città. Mentre li raccontavi, mi ci portavi perfettamente
dentro, figura un po’ goffa in un caffè, sguardo al cielo per lasciarsi sfuggire
le stelle e osservare le case, mentre ti continuo a raccontare che tornerò per
avere la mia finestra sul mare. Ti dico, da quest’alba un po’ affollata di
pensieri, se esiste una doppia strada da imboccare nel sentire, non stai sentendo.
Stai confondendo un ragionamento di dolore, da portare agli altri e ritrovarlo
un giorno tra le pieghe di un tuo discorso stonato. Oggi, nella zona di
bellezza che somiglia ormai a una pozza di doppiogiochismo travestito da
confusione, ti do l’ultima notizia dell’alba: il coraggio è andare e lasciar
andare. Diffida di chi trattiene senza saperti tenere.
Art André Lundquist
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