sabato 27 aprile 2013

Ci riprovano con le armi chimiche. Ieri in Iraq, oggi in Siria



Nel momento in cui l’esercito siriano riconquista importanti postazioni strategiche e l’anarchia regna tra le frange islamiste dell’Esercito Libero, spunta la presunta svolta dell’Occidente che giustificherebbe un intervento armato in Siria, legato all’utilizzo “probabile” di armi chimiche da parte del governo. Nonostante lo stanziamento di 123 milioni di dollari a sostegno dell’Esercito Libero per quelle che la Casa Bianca ha definito operazioni “non letali”, si tenta la consueta strada della presunzione di colpevolezza, la stessa che vide nel febbraio 2003, Colin Powell sventolare all’Onu una provetta per dimostrare la presenza di armi chimiche in Iraq, provetta che in realtà non conteneva nulla. L’anno successivo fu lo stesso segretario di Stato a riconoscere l’inattendibilità delle prove. In realtà, nessuna arma chimica è stata mai trovata sul territorio iracheno. Buona fede? Già prima dell’inizio del conflitto, l’ispettore Scott Ritter aveva annunciato che l’Iraq non possedeva armi chimiche, biologiche o nucleari, così come il Christian Science Monitor aveva riferito che il programma di distruzione di massa era terminato nel 1991e l’Iraq Study Group della Cia - dopo l’invio di 1.750 esperti - non aveva trovato nessun sito sospetto. Supposizioni che hanno aperto la strada al genocidio di 1 milione di iracheni e alla destabilizzazione dell’area.

Il “probabilmente” della Casa Bianca. Ennesimo conflitto delle probabilità
Nessuna certezza, nessuna verifica, solo l’ipotesi sostenuta da Gran Bretagna e Usa. La voce diffusasi in seguito alla testimonianza di un ufficiale israeliano che avrebbe visto persone con la schiuma alla bocca. Una guerra d probabilità, esattamente come in Iraq, in cui i media occidentali giocano sui grandi titoloni, ma sono costretti ad ammettere che l’uso – sempre probabile – sarebbe “limitato” e non su vasta scala. Come dire, per ammazzare poche persone la Siria fa il gioco americano e crea il pretesto per un intervento.
La richiesta del governo siriano è invece chiara: includere esperti cinesi e russi nella Commissione di ispettori e soprattutto rendere note le violazioni nell’uso di armi chimiche da parte dei ribelli. In particolare si chiede di indagare su quello che è stato additato come uno dei luoghi del crimine: il villaggio di di Khan al-Assal, nelle campagne di Aleppo, dove il ministro Omran Ahedal-Zouabi punta il dito contro i ribelli e chiede di approfondire l’aspetto legato all’arrivo delle armi non convenzionali dalla Turchia. Proprio dalla Turchia, alleata all’Occidente nella lotta ad Assad. L’invenzione preventiva, già ampiamente collaudata, per gettare in realtà ombra e silenzio sulle azioni imbarazzanti dell’ESL? E perché, per una maggiore credibilità, non inviare una Commissione indipendente in cui abbiano un ruolo anche esperti di Cina e Russia?
La linea rossa varcata dai ribelli
Creerebbe imbarazzo ammettere che l’uso di armi chimiche sia venuto dagli stessi liberatori sostenuti dal coro occidentale. A marzo una commissione di esperti dell’Onu aveva raggiunto, su richiesta di Assad, la Siria per indagare sulla presunta violazione del diritto internazionale dopo l’uso di CL17 ad Aleppo, in un’area vicina ad Al-Bab, quartiere controllato dal gruppo jihadista Al-Nusra. Nella strage erano morte 26 persone, tra cui numerosi componenti dell’esercito lealista, e c’erano stati 110 feriti. Il governo siriano aveva fortemente caldeggiato le indagini, concluse con una bolla di sapone nei primi giorni di aprile: non si erano trovate, guarda caso, informazioni rilevanti. Propaganda prezzolata quella del NYT, megafono americano anti-Assad, che in questi giorni ha parlato di mancata verifica a causa del veto posto all’entrata dell’Onu. Si assiste a uno scenario noto in cui la menzogna sistematica delle lobbies delle petro-monarchie e degli Usa è usata per esercitare pressioni politiche ed economiche e per minare la sovranità di uno Stato. Copioni noti.

Una chiosa. Sullo stato dell’informazione in Italia
Dopo essersi abbeverati alla fonte della verità dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, una bufala smascherata persino dal NYT al soldo dell’Europa e delle petro-monarchie, i media provano a confondere le acque. «Siria, insorti: "Liberati vescovi ortodossi. Sequestrati dalle forze di Assad"», titolava qualche giorno fa la Repubblica. Stesso copione altri giornali, dopo che la notizia era stata battuta in questi termini dalle principali agenzie di stampa italiana. Chi segue la questione siriana attraverso la stampa estera locale e le agenzie cattoliche si è trovato di fronte a un chiaro esempio di manipolazione di guerra. La scelta di riportare le dichiarazioni degli “insorti” per sviare la responsabilità, ma soprattutto per presentare l’ESL come un esercito di liberatori. Quale sarebbe il senso del rapimento di alleati da parte delle forze governative? I cristiani della Siria sono strenui difensori della laicità dello Stato siriano e denunciano da due anni le violenze del fantomatico ESL e delle frange che in alcune aree hanno imposto le fatwa (esemplare il diritto a violentare le donne cristiane ad Aleppo). Fonti siriane e agenzie cattoliche confermano che il rilascio dei vescovi non è avvenuto e che il rapimento è opera di integralisti islamici che hanno lo scopo di chiedere riscatti e favorire la divisione su base religiosa. Un’informazione che non verifica e mostra gravi lacune, ma soprattutto che dà la chiara impressione di voler manipolare l’opinione pubblica. In tutte le guerre, un topos che si ripete, i media al servizio delle lobbies e dei loro interessi. La Siria dovrebbe aprire una finestra sulla credibilità dei media italiani.

martedì 23 aprile 2013

Siria. Il controllo del petrolio e la strage di civili a Deir Ezzor firmata da al-Nusra




Deir Ezzor è una città della Siria orientale, fedelissima al presidende Assad, punto di incontro di diverse culture perché da secoli area tribale dove convivono allevatori, agricoltori delle regioni adiacenti e abitanti del deserto. Negli ultimi giorni è diventata teatro di scontri tra le diverse fazioni che combattono nel conflitto siriano, soprattutto in relazione al possesso degli impianti petroliferi. Il controllo del petrolio potrebbe, infatti, assicurare al fantomatico Esercito Libero il commercio di greggio verso i Paesi europei, come si evince dalla decisione di rimuovere l’embargo che interessa la Siria dal 2011 per le opposizioni siriane. Le tribù locali si sono mostrate preoccupate e hanno annunciato resistenza, soprattutto dopo la strage in un villaggio di Deir Ezzor, dove sono morti numerosi civili. Uno dei leader tribali locali avverte che il conflitto in nome dell’oro nero potrebbe aprire nuovi scenari: "Il problema di tutti i problemi, il flagello di tutti i flagelli è il petrolio. Chiediamo una riunione di tutti i villaggi e degli abitanti delle campagne per discutere questo problema, che è un grave pericolo e potrebbe causare il nostro annientamento”.
Il fronte al-Nusra, terroristi legati ad Al Qaeda che vogliono costituire un unico grande stato islamico tra Iraq e Siria, ha fatto esplodere 30 case causando la morte di molti abitanti del villaggio. La rappresaglia è avvenuta in seguito alla richiesta di aiuto da parte degli abitanti al presidente Assad per scongiurare il furto sistematico del petrolio e ad alcuni scontri dove sarebbero morti dei ribelli, tra cui mercenari stranieri. L'episodio scatenante sarebbe stato una disputa che si è accesa dopo il prelievo di un camion nella città di Masrib. Un video pubblicato dal Fronte Al Nusra (http://www.youtube.com/watch?v=AYNdgu2rQ2o) testimonia la distruzione del villaggio nella regione Masrib nel governatorato di Deir Ezzor, non lontano dal confine iracheno. L'attentato con esplosivi viene presentato come un attacco alle case di proprietà dei prigionieri Shabīḥa, ma rapporti più attendibili rimandano a una rappresaglia dei jihadisti sul villaggio per il furto di petrolio. A latere, dopo tre anni di conflitto, nel vuoto di potere emergono scontri secondari che lasciano intravedere i futuri scenari dello Stato in caso di caduta del governo siriano. Intanto l’Occidente continua a orchestrare la costruzione del nemico Assad, utilizzando come fonti anonimi attivisti che rimandano all’Osservatorio Siriano per i Diritti, una fantomatica organizzazione che è in realtà una sola persona che vive e Londra e segue con un computer e un cellulare le vicende del conflitto. Un uomo al soldo dell’Europa e delle petro-monarchie, come lui stesso ha riconosciuto in un’intervista al NYT, che influenza in maniera determinante la stampa occidentale. Una sorta di megafono dell’Occidente che limita la conoscenza sulla reale situazione siriana e non dà voce ai cristiani e alle minoranze perseguitate quotidianamente dall’Esercito Libero. I residenti delle città di Aleppo e della stessa Deir Ezzor hanno riferito che il Fronte Al Nusra sta tentando di imporre la propria interpretazione estremista della sharia islamica,vietando ad esempio il fumo e l'ascolto di musica e giudicando infedeli le donne che indossano pantaloni.
La fine di uno Stato laico, come pianificato fin dal 2005 dal Dipartimento di Stato americano, con il completo consenso dell’Europa: è questo l’obiettivo prossimo in attesa di un attacco all’Iran. Risvolti inquietanti di copioni che si ripetono, non solo nel Medio Oriente.

giovedì 18 aprile 2013

Si chiama Velokafi, si legge rivoluzione pausa caffè. A Zurigo il drive-in per le biciclette






Un drive-in per le biciclette sulla terrazza all’aperto del caffè Rathaus, uno dei posti più popolari di Zurigo, sul fiume Limmat. Si tratta di una rivoluzione nella concezione della pausa caffè, ma soprattutto di una strategia per incentivare l’uso di biciclette e di mezzi alternativi, fortemente voluta dal consiglio comunale della maggiore città della Svizzera. Il Velokafi, come è stata denominato il nuovo sistema, è parte del programma di Stadtverkehr 2025 previsto dal Comune e mira ad accogliere la vasta comunità di ciclisti destinata a raddoppiarsi entro il 2025 nelle principali aree urbane del Paese. L’innovativa docking station, con ripiano in legno su cui godersi la pausa, è un modo per migliorare le infrastrutture e ridurre il traffico, permettendo alle persone di non rinunciare al mezzo di trasporto mentre si godono le pause giornaliere. Attraverso una scanalatura posta sulla parte anteriore, la ruota rimane bloccata, mentre i lati rialzati della pedana permettono ai ciclisti di alzare i piedi e riposare. Per il lancio dell’iniziativa, il 13 aprile scorso, i ciclisti sono stati invitati a gustare una tazza di caffè presso il bar Rathaus. Velokafi è un’idea dinamica per una città come Zurigo in movimento, ma potrebbe essere presa a modello in tutto il mondo. Un tentativo di conciliare il rispetto dell’ambiente e le esigenze dei cittadini…. a dimensione d’uomo.



Pakistan, attacco drone colpisce i civili. 5 morti, 7 feriti




“Anytime bombs are used to target innocent civilians, it is an act of terror.” - Barack Obama, 15 aprile 2013


Un bollettino di guerra che si aggrava nel silenzio dei media, mostrando l’inefficacia dell’uso dei droni nella guerra al terrorismo portata avanti anche dall’amministrazione Obama. L’ultimo attacco killer in Pakistan, nella regione Babar ghar, nel Waziristan meridionale, un territorio al confine con l’Afghanistan. Nell’area tribale, dove si susseguono regolarmente assalti con velivoli senza pilota, una casa è stata completamente distrutta. Bilancio finale: 5 vittime e 7 feriti, tutti civili. Il 14 aprile altre 4 persone sono state uccise nella zona Datta Khel, suscitando le proteste del Pakistan: la popolazione si sente poco protetta ed esposta a continui attacchi che mietono vittime tra i civili, soprattutto donne e bambini. Le relazioni tra Washington e Islamabad appaiono tese perché l’uso sistematico dei droni sta dimostrando contraddizioni sempre più evidenti e aprendo una stagione di manifestazioni anti-americane che non rende difficile giustificare la presenza degli Stati Uniti nell’area. La morte inaspettata che cade dal cielo, vite continuamente spezzate in nome della democrazia e in America la percezione diffusa che la tragedia di Boston debba anche aprire un dibattito sulla guerra dei droni, dove ogni presunto terrorista ucciso porta a colpire 50 civili. Una guerra silenziosa di cui molti non vogliono essere complici.

martedì 16 aprile 2013

FMI riconosce che i tagli in Grecia sono stati ingiusti. Ma la cura continua



Un’Europa a due velocità, con i paesi ricchi che trainano l’economia e i cosiddetti Piigs sempre più poveri. La Grecia è diventata un osservatorio privilegiato dell’operazione di asservimento delle economie nazionali in nome di un’entità sovranazionale e qui, come in tutti i Paesi dell’area mediterranea, si è delineata la precisa strategia di creare popoli sottomessi e pronti ad accettare misure anticrisi in realtà atte a favorire banchieri e industriali.
Dopo il taglio a pensioni e salari, la macelleria sociale greca vivrà una fase che la Troika ha definito di “riequilibrio”, attraverso la lotta all’evasione, la riforma del settore pubblico e un processo di liberalizzazioni che mirerebbe a favorire la competitività. Il tutto addolcito dalla pillola dell’ingiustizia dei tagli propinata da Poul Thomsen, il capo negoziatore di Banca Centrale e del FMI, che ha riconosciuto la sfasatura tra le misure applicate (tagli e aumento delle tasse) e l’assenza di un calo dei prezzi.
In realtà l’economia greca è al collasso e l’inefficacia del salvataggio, all’indomani dell’accordo con il governo della Grecia per imporre nuove misure, appare in tutta la sua evidenza. Nessuno dei Paesi salvati sta beneficiando della terapia imposta dalla Troika, mentre si sta provvedendo alla deregolamentazione del mercato e alla privatizzazione dei beni pubblici.
In Grecia si prepara una nuova stagione di austerity e svendita del Paese. La nuova cura imposta da FMI/BCE prevede un abbassamento di 15.000 funzionari per la fine del 2014 e una ristrutturazione del servizio pubblico per creare un sistema più efficiente e produttivo. Le spese pubbliche sono la reale cause di questa crisi? I piani attuati dalla Troika mostrano invece che lo scopo ultimo è la privatizzazione dell’Europa attraverso l’imposizione di sacrifici alle fasce deboli e l’arricchimento dell’élite bancaria, la stessa che ha causato la crisi finanziaria uscendone illesa. La Grecia usufruirà di altri 2,8 miliardi (dei 270 miliardi di euro distribuiti fino a questo momento in varie fasi), ma nel Paese si succedono scioperi e manifestazioni e la situazione rimane drammatica.
L’inefficacia delle misure di austerity in Grecia era stata riconosciuta già nel luglio 2012 in un rapporto del FMI stilato da un team di studiosi del settore, dove si chiariva che i tagli imposti alla Grecia avrebbero aggravato la recessione. La relazione era stata firmata anche dell’economista italiana Nicoletta Batini che, in un’intervista alla BBC, aveva dichiarato: «Se segui una dieta quando sei malato, è molto probabile che sarai ancora più malato, quindi non è una buona idea». Il succo tutto in queste parole.

domenica 14 aprile 2013

Il NYT si accorge che l’Osservatorio siriano per i Diritti umani è una persona che vive a Londra. Ma in Italia continua a essere la bocca della verità

Anche il New York Times si accorge che la principale fonte dei media occidentali sulla Siria è in realtà un uomo d’affari che vive a Londra, finanziato dall’Europa e da un fondo di Dubai, che pretende di fornire notizie attendibili usando un cellulare e i moderni mezzi di comunicazione come Facebook e Skype. La questione siriana apre un interrogativo non certo rassicurante sullo stato dell’informazione dell’Occidente. Italia in testa.





Ha un ruolo centrale nella guerra in Siria, ma è in realtà una sola persona. Rami Abdul Rahman, 42 anni, fuggito 13 anni fa, ha avuto l’idea di utilizzare un nome persino importante: Osservatorio Siriano per i diritti umani per seguire quella che, secondo la sua versione, è la storia del conflitto. A tutt’oggi la maggior parte delle agenzie e delle testate italiane lo cita come fonte delle notizie, ma Rami Abdul non è un giornalista né ha competenze culturali basilari per poter essere definito attendibile. Lo ha scoperto dopo mesi persino il NYT, megafono della propaganda americana contro la Siria, che gli ha dedicato un articolo svelando la metodologia utilizzata per le sue notizie: nessuna verifica sul campo diretta, utilizzo di un portatile e di un telefonino, reperimento delle fonti tra una serie di attivisti anonimi e sconosciuti (nessuno dei quali giornalista). Tutte le parti in conflitto lo accusano di essere parziale e anche lui riconosce che la verità può essere verificata solo sui campi di guerra; ammette che essendo la Siria un territorio vasto non è possibile avere un quadro attendibile a causa delle difficoltà di comunicazione. Eppure gli analisti militari di Washington, le Nazioni Unite e i media setacciano le sue descrizioni e i suoi bollettini.

Il Nyt osserva che Rami Abdul Rahman è considerato uno strumento del governo di Qatar, della fratellanza musulmana, della Central Intelligence Agency e di al-Asad, lo zio in esilio del Presidente della Siria, Bashar al-Assad. Come si finanzia questo fantomatico Osservatorio? Attraverso piccole sovvenzioni dell'Unione europea e in particolare di uno Stato che Rami Abdul si rifiuta di identificare. Aggiungiamo, a titolo informativo, che l’Osservatorio non è registrato come Ong, opera in maniera informale ed è finanziato anche da un fondo di Dubai in cui l’Arabia Saudita ha versato 130 miliardi di dollari per favorire le famigerate primavere arabe. Rami Abdul Rahman, ossia l’Osservatorio per i Diritti Umani in persona, ha stretti legami con il Ministero degli esteri britannico e con Ong che dipendono direttamente dal Congresso degli Stati Uniti. Il sottotitolo potrebbe essere “Sullo stato dell’informazione propagandistica occidentale”. Una chiosa. L’ex giornalista della CNN, Amber Lyon,ha rivelato in questi giorni di aver ricevuto ordini di manipolare le notizie provenienti dalla Siria per avviare la costruzione del nemico finale: l’Iran. L’omissione di alcune informazioni e la trasmissione di notizie anche false confermerebbero il lavoro di propaganda attentamente orchestrato in America e di riflesso nell’Occidente. A muovere i fili lobbies, élites e governi. Niente di nuovo sotto il sole.

Articolo NYT: http://www.nytimes.com/2013/04/10/world/middleeast/the-man-behind-the-casualty-figures-in-syria.html?pagewanted=all&_r=0
http://orizzontiliquidi.blogspot.com/2013/01/manipolazione-di-guerra-lo-strano-caso.html
http://landdestroyer.blogspot.com/2013/04/exposed-syrian-human-rights-front-is-eu.html?utm_source=BP_recent
http://www.liveleak.com/view?i=6f8_1364689575#51DUVfTxwVp2C2Sm.99

sabato 13 aprile 2013

L’accusa di Chomsky: la Germania impone la schiavitù economica in Grecia



"Ovunque, dalla cultura popolare ai sistemi propagandistici c'è una pressione costante per far sentire le persone impotenti e inculcare loro che l'unico ruolo che possono avere è quello di ratificare le decisioni e consumare".

In un discorso a Dublino, come riporta il quotidiano To Bhma, Noam Chomsky si è scagliato contro le misure imposte dalla Troika e ha osservato che “l’obiettivo finale delle richieste tedesche ad Atene, come parte della gestione del debito, è quello di strappare le risorse della Grecia”.
L’accusa dell'intellettuale americano è chiara: la Banca Centrale Europea ed il governo EU stanno provocando la distruzione della coesione sociale con l’imposizione di misure che gravano sulle fasce deboli. Già nel novembre 2012, Chomsky aveva individuato diverse opzioni per la risoluzione della crisi greca: pagare i debiti attuando un piano di austerity, rifiutarsi di sottostare ai dettami del Fondo Monetario come in Argentina o uscire dall’Eurozona svalutando la propria moneta. La scelta di seguire le misure imposte della Troika, nonostante le dimostrazioni anti-austerity e il peggioramento delle condizioni di vita dei greci, oltre a comportare una destabilizzazione del tessuto sociale, spiegherebbe i sentimenti anti-tedeschi della parte meridionale dell’Europa. Italia, Spagna, Portogallo e Grecia dovrebbero – secondo il teorico – opporsi alla distruzione sociale e finanziaria e all’imposizione attraverso un fronte comune delle periferie che scongiuri le condizioni di vera e propria “schiavitù economica” che si prospettano in parte dell'Europa, condizioni da accettare in nome di un organismo sovranazionale che si dimostra costantemente interessato a soddisfare i bisogni delle banche private che non dei cittadini europei.

venerdì 12 aprile 2013

Il saccheggio di migliaia di tesori culturali in Iraq. Ad opera degli esportatori di democrazia



La distruzione della memoria come atto finale delle guerre umanitarie. Ieri in Iraq, oggi nella Siria invasa dai ribelli finanziati dall'Occidente. Stesso identico copione che affianca alla tragedia umana e ambientale, la giustificazione che i conflitti possano privare un popolo della sua storia. E' questa la denuncia dell'architetto e archeologo Ihsan Fathi che condanna il furto di migliaia di tesori culturali durante l’invasione dell’Iraq. 35.000 piccoli e grandi reperti che sono stati sottratti al Museo Nazionale iracheno, fonti che rappresentano la memoria storica del Paese e costituiscono beni di un valore inestimabile. Già a marzo il direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, Mounir Bouchenaki, ha rilasciato una dichiarazione in cui denunciava la scomparsa di oltre 1.500 dipinti moderni e di sculture dal Museo di belle arti di Baghdad, rubati durante l'invasione del 2002 dell'Iraq guidata dagli USA. Bouchenaki già nell’aprile 2003 aveva deplorato la distruzione del patrimonio culturale iracheno mentre le fiamme avvolgevano la Biblioteca Nazionale di Baghdad. Nonostante i mesi di avvertimenti degli archeologi americani, il Pentagono aveva ammesso di essere impreparato a fronteggiare il saccheggio sistematico. Nell’archivio della biblioteca era rimasto poco: decine di migliaia di manoscritti inestimabili, giornali e libri erano stati trafugati assieme ai reperti provenienti dalle civiltà antiche di Sumeri, Babilonesi e Assiri contenuti nel Museo Nazionale. Una civiltà quella irachena, che come sottolinea Fethi, vanta una tradizione risalente a 10.000 anni fa, con distruzioni storiche, tra cui l’avanzata dei Mongoli nel 1258. Già durante l’occupazione del 1991, gli americani avevano raggiunto i sobborghi e saccheggiato numerosi musei, ma quella del 2003 è stata una devastazione sistematica di oggetti di valore ma anche di tonnellate di documenti che ricostruiscono la cronologia della storia irachena. Nonostante la richiesta avanzata, gli Usa intendono restituire solo la metà di essi e molti sono stati spostati dal Ministero degli Esteri alle agenzie di sicurezza stato. L’operazione è stata pianificata durante l’occupazione e i documenti sono stati venduti alle università americane, tra questi anche una delle più antiche copie della Torah appartenente alla comunità ebraica irachena. Come dire, esportazione della democrazia in salsa vandalica.

La Cia si rifiuta di dare informazioni sulla morte di Hugo Chavez




Assassinio politico? La Fundación Asociación por la Justicia Civil (PCJF la sigla in inglese), dopo richiesta formale di informazioni sul coinvolgimento della Cia nella morte del presidente Hugo Chavez, si è vista consegnare una risposta ufficiale in cui non si conferma né si nega l’esistenza dei file richiesti ma che questi rientrerebbero nel “segreto legale”. Sistemi di informazioni protette, insomma, che gettano ulteriori ombre sul noto piano di destabilizzazione del Venezuela, portato avanti – come rivelato recentemente da documenti di Wikileaks – con l’aiuto dell’USAID e di numerose Ong finanziate per indebolire Chavez. Per statuto, la Cia non può, “per conto del governo degli Stati Uniti”, impegnarsi in operazioni che prevedano assassini direttamente o indirettamente.
La Fondazione chiede che sia fatta chiarezza sul coinvolgimento dell’intelligence e delle varie amministrazioni americane nei piani di sovversione contro la compagine chavista, non da ultimo quello relativo al golpe del 2002. Secondo il direttore esecutivo di PCJF, Mara Verheyden-Hilliard, la Cia ha nella sua storia un lungo elenco di omicidi di leader politici, confermata nel tempo dalla contraddizione di fondo nell’operato: negare la partecipazione ad assassini ma classificare come “protette” informazioni che ne svelerebbero i retroscena.

giovedì 11 aprile 2013

Modelli alternativi. Il caso di Marinaleda, dove non esiste la disoccupazione




“I tagli sono sostanzialmente affare dei ricchi”. Sánchez Gordillo, professore di storia in un istituto della città Marinaleda, è stato eletto sindaco nel 1979 e da allora amministra il piccolo centro dell’Andalusia di 2.650 abitanti. Raccolta in 25 chilometri quadrati, quest’isola socialista ha vissuto tutte le tappe della crisi dei sistemi e modelli politici e sociali mondiali, riuscendo a porsi come un'alternativa nel panorama della crisi globale. Il suo attuale tasso di disoccupazione è pari allo 0% e tutti i cittadini partecipano attivamente alla vita politica e sociale. Un esempio di democrazia dal basso in un paesino dove non esiste la polizia e le tasse sono le più basse della regione.
Il segreto? La gestione diretta dell’agricoltura locale e l’incontro orizzontale con altri paesi attraverso il commercio equo e solidale, un modello economico vincente che ha permesso a questa terra di confine di antichi contadini di opporsi alla crisi. Sánchez Gordillo ha guidato questa sorta di rivoluzione. Diventato famoso per l’assalto al cibo nei supermercati da distribuire ai bisognosi, è un leader singolare nel quadro della classe politica spagnola. La sua organizzazione, il Colectivo Unidad de los Trabajadores- Bloque Andaluz de Izquierdas, gestisce la città di Marnaleda attraverso la trasformazione dei prodotti biologici. L’industria alimentare così organizzata fornisce occupazione, nostante la carenza di finanziamenti; la maggior parte degli abitanti è impiegata nella Cooperativa Humar - Marinaleda S.C.A, creata e gestita dagli stessi operai, dopo anni di lotte. Solo nel 1992, in seguito a diverse occupazioni, il Collettivo ha raggiunto il suo obiettivo: la terra a chi la la lavora, non a scopo di profitto ma per creare nuovi posti di lavoro producendo cibi sani e naturali.
Nella cooperativa tutti guadagnano intorno ai 1.200 euro mensili (per 35 ore settimanali) e dal terreno, di proprietà della comunità, si ricavano ortaggi e olio, ci sono strutture di allevamento, un mulino, una fabbrica di conserve, serre e un negozio. Durante l’alta stagione lavorano in cooperativa circa 400 persone, mentre in condizioni normali 100, sfruttando il principio “lavorare meno per lavorare tutti”. A Marinaleda molti hanno piccoli appezzamenti di proprietà o negozi, ma tutti possono contare sullo stipendio di 1.200 euro di almeno un membro della famiglia.
Anche dal punto di vista della speculazione che ha colpito il mattone in Spagna, la scelta di Godrillo è andata in direzione opposta: si può avere una casa in buone condizioni di 90 mq con terrazzo per 15 euro al mese, a condizione che tutti contribuiscano alla costruzione delle abitazioni. Sànchez ha le idee chiare sulla crisi globale e contesta lo smantellamento dello stato sociale e dei servizi essenziali come l’istruzione e la sanità, il tutto per il debito delle banche tedesche. A Marinaleda i lavoratori negli anni Ottanta non sapevano neanche scrivere, adesso ci sono due scuole con una mensa che costa 15 euro mensili e un istituto superiore, nonostante agli abitanti interessi più lavorare che studiare. Godrillo denuncia da anni la crisi, raccontando le storie di migliaia di disoccupati che quotidianamente incontra, non solo nella sua città, ma in tutto il Sud Europa, oggetto di uno sfruttamento che risponde solo a logiche di profitto. Gordillo ricorda spesso che ogni giorno muoiono più di 70.000 persone di fame e che le guerre sono sempre state "guerre provocate dal capitalismo". La saturazione del mercato può trovare sfogo solo in conflitto fin troppo prevedibile, come già successo in Libia e come in atto in Siria, visto l’imponente riarmo delle potenze e l’aumento delle spese militari. La sua lotta però ha un solo obiettivo: il superamento del capitalismo e dei sistemi ad esso legati, attraverso una equa redistribuzione delle risorse. Come ama ripetere, "ciò che ha un solo ricco potrebbe sfamare 800 milioni di esseri umani".

La foglia artificiale che produce energia dall'acqua sporca. Una speranza per 3 miliardi di persone?




La ricerca è stata presentata ufficialmente all’American Chemical Society. Il leader del team, Daniel Nocera, professore all’università di Harvard, ha spiegato che la foglia artificiale creata in laboratorio imita la capacità naturale di quelle vere per produrre energia. Si tratta di un dispositivo di silicio rivestito in un catalizzatore che, a contatto con l’acqua di un barattolo ed esposto al sole, scompone l’acqua in idrogeno e ossigeno. Nocera ha spiegato che la foglia rivoluzionaria probabilmente troverà un uso immediato nella fornitura di energia elettrica di singole case in zone dove manca quellaelettrica tradizionale, anche se la sua creazione è legata alla possibilità di fornire elettricità a basso costo ai paesi in via di sviluppo.
Una “fotosintesi in tempo reale” che , con meno di un litro d’acqua, produrrà circa 100 watt di elettricità 24 ore al giorno. Mentre nella scoperta precedente si utilizzava solo acqua pura perché i batteri creavano un biofilm sulla superficie della foglia, la ricerca del team di Nocera prevede il ricorso all’acqua impura grazie alla capacità di auto-guarirsi. Si apre una speranza per circa 3 miliardi di persone che oggi vivono in aree non raggiunte dalla produzione elettrica tradizionale, numero destinato a crescere di miliardi nei decenni a venire. Allo stato attuale, un miliardo di persone non ha acqua pulita ed è esclusa dai sistemi basilari di produzione di elettricità. L’innovazione passerà per la creazione di energia “personalizzata", come passare dal computer a un portatile, utilizzando materiali poco costosi e con notevoli vantaggi rispetto ai pannelli solari.

http://portal.acs.org/portal/acs/corg/content?_nfpb=true&_pageLabel=PP_ARTICLEMAIN&node_id=222&content_id=CNBP_032564&use_sec=true&sec_url_var=region1&__uuid=895f6852-200e-4ef5-af3d-d18b12b85dd9

A Gaza nuove sanzioni di Israele. Sul cibo




Le Nazioni Unite lanciano l’allarme. Il nuovo round di sanzioni israeliane su Gaza in risposta al deterioramento della situazione di sicurezza nella striscia interessa le scorte di cibo e potrebbe avere effetti gravi se prolungato. La chiusura del valico di passaggio Kerem Shalom e la restrizione della circolazione di persone e merci comporterà, come ha osservato il coordinatore dell’Onu, un “depauperamento delle scorte di forniture essenziali, tra cui derrate alimentari di base” e i gas utilizzati per la cottura, minando i diritti di molte famiglie palestinesi che non hanno sufficienti mezzi di sussistenza.
Dal 21 marzo le limitazioni di Israele hanno incluso anche una riduzione del limite di pesca da sei a tre miglia nautiche, misure che colpiscono le famiglie la cui sussistenza è legata esclusivamente all’industria ittica. Già l’85% delle acque palestinesi destinate alla pesca è completamente inaccessibile agli abitanti di Gaza. Il blocco della striscia Gaza, a partire dal 2007, ha aggravato le condizioni di vita degli abitanti negando i loro diritti fondamentali, come la libertà di movimento, l’istruzione e un’adeguata assistenza sanitaria. L’Onu ha riconosciuto che il 38% degli abitanti vive sotto il livello di povertà mentre il 56% degli abitanti non ha condizioni nutrizionali adeguate.

http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=44618&Cr=palestin&Cr1=
http://www.pchrgaza.org/portal/en/

mercoledì 10 aprile 2013

Prove di governo fondamentalista nella Siria orientale dei ribelli: le minoranze fuggite





Raqqa è una città che dista 80 km. dal confine con la Turchia, conquistata dall’Esercito Libero e in particolare dalle brigate al-Nusra e Arianna al-Sham. Sulla bandiera issata in cima ad un pennone nel piazzale antistante il palazzo del governatore, campeggia a chiare lettere il messaggio: “Non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il Messaggero di Allah”. Le brigate islamiste pattugliano le strade e una corte religiosa ha sostituito il sistema giudiziario in atto. Le minoranze a Raqqa sono fuggite, nonostante le manifestazioni e gli scioperi per scongiurare l’instaurarsi di un regime teocratico. La Siria è uno Stato laico, dove convivono culture diverse nel pieno rispetto delle minoranze. Ne è testimonianza la posizione dei cristiani siriani, impegnati da due anni nella denuncia dell’ingerenza delle potenze esterne non ai fini di favorire un processo di pace ma per armare e addestrare mercenari integralisti. A Raqqa la presenza della cellula al-Nusra è forte e il ramo siriano con i due iracheni lavora alla creazione dello “Stato islamico in Iraq e nel Levante”. Uno dei provvedimenti di al-Nusra è stata la limitazione della vendita delle sigarette, considerate simbolo non islamico , mentre la cellula di combattimento Arianna al-Sham sarebbe favorevole alla creazione di uno Stato integralista ma non avrebbe imposto restrizioni. Nell’area le manifestazioni sono state numerose. Alcune hanno interessato gli statali che non ricevono gli stipendi da mesi. Il peggioramento della povertà e della disoccupazione sono dovuti alla mancanza di sovvenzionamenti pubblici per le colture di grano e cotone e alla carenza di acqua che ha costretto migliaia di persone ad abbandonare la zona. Raqqa si è mostrata leale ad Assad, riconoscendo al Presidente la capacità di aver tutelato le minoranze creando una rete di alleanze tra le tribù sunnite e il resto dell’Oriente. Le comunità alawita di Tabaqa e quella dei cristiani sono fuggite, dopo numerosi atti di violenza, tra cui la profanazione di una chiesa. Gli attivisti sostengono che gli jihadisti appaiono ben finanziati e non pensano che possa esserci una supremazia dell’ala moderata. Molti abitanti si sono ribellati alla sostituzione della bandiera della rivoluzione con il drappo nero perché non si riconoscono in uno stato fondamentalista. In un opuscolo diffuso dalla brigata al-Nusra, si suggeriscono gli abiti adatti per le donne. In città si indossano jeans e camicie strette, adesso si teme di tornare ai mantelli neri e ai veli “consigliati”: nessun vestito vistoso perché i precetti dicono che “una donna non dovrebbe vestire in modo da invogliare un uomo”. I capi religiosi non vogliono comunque inimicarsi la popolazione, vissuta fino a questo momento in un sistema laico che ha rispettato la diversità. Sanno che Riqqa è solo un piccolo tassello del mosaico siriano. A noi resta un piccolo quadro del futuro della Siria, con la complicità dell’Occidente.

martedì 9 aprile 2013

La catastrofe ambientale in Iraq e il silenzio imposto dal Pentagono. Peggio di Hirosima, tra uranio, fosforo e bombe a grappolo




Una donna seduta in un reparto di un ospedale a Baghdad. Era il 23 aprile 2003, tra le braccia una bambina malata di gastroenterite, un’epidemia causata dalla contaminazione dell’acqua e dal deperimento degli alimenti a causa della mancanza di elettricità. L’invasione dell’Iraq, oltre a un milione di vittime, porta con sé un'ecatombe ambientale che durerà centinaia di anni e la riduzione della qualità e dell’aspettativa di vita dei cittadini a 30 anni. In un’intervista al canale Rusiya Al-Yaum, il cardiologo iracheno, Dr. Omar al-Kubaisi, accusa le truppe americane di aver contaminato il suolo testando diversi tipi di armi, anche quelle vietate da Ginevra, dalle bombe a grappolo al fosforo bianco, passando per le munizioni all’uranio impoverito fino a sostanze e gas tossici.

La contaminazione di acqua e clima avrà ripercussioni sull’intero ecosistema, peggiori di quelle di Hiroshima. Omar al-Kubaisi fa riferimento agli studi scientifici condotti non solo dai medici iracheni ma da Human Rights Watch e dall’organizzazione mondiale della sanità; in tutti sono accertati i livelli di radiazione che interessano l’Iraq meridionale, centrale e molte aree settentrionali. Da qui il crescente numero di malformazioni congenite, aborti spontanei e casi di cancro, con un aumento dei casi di leucemia del 30%.

Il governo iracheno proibisce, allo stato attuale, la pubblicazione e divulgazione di opere e articoli sull’argomento, divieto avviato dall’amministrazione americana e dal Pentagono. Uno studio pubblicato da Usa Today sui militari coinvolti nel conflitto iracheno, mostra che soldati della Marina statunitense hanno presentato tracce di uranio nei polmoni. Tracce rinvenute anche sulla superficie dei mezzi militari lasciati in prossimità delle zone abitate. Secondo Kubaisi, le armi chimiche e i materiali radioattivi avranno un effetto cumulativo di centinaia di nani, provocando malattie ereditarie. Tra i 30 e i 60 miliardi di dollari il prezzo stimato per la bonifica che comprende il monitoraggio di aria e suolo e il trattamento del terreno per seppellire gli strati contaminati in profondità o spostarli in discariche speciali lontane dalle zone popolate.
Non basterebbe un processo per crimini contro l’umanità. Storia dell’ennesimo genocidio in nome delle guerre umanitarie.

Cile, sciopero dei minatori contro Codelco




Sciopero di 24 ore organizzato dalla FTC (Federación de Trabajadores del Cobre) contro il colosso del rame Codelco, l'impresa mineraria statale che sfrutta i giacimenti di rame assicurando il 10% della fornitura mondiale. L’iniziativa ha coinvolto anche i lavoratori delle miniere private, come la Minera Escondida della società anglo-australiana di BHP Billiton e di altre americane. Secondo i sindacati saranno coinvolti 29.000 operai che chiedono un miglioramento del trattamento pensionistico, del sistema di salute e una maggiore sicurezza sul lavoro soprattutto per i lavoratori a contratto che percepiscono un salario di un 70% inferiore. I lavoratori chiedono anche la rinazionalizzazione di rame e litio e il rispetto della legge sulla subfornitura di materie prime. Secondo i leader sindacali, il movimento avrà un grande significato storico sia perché per la prima volta saranno rappresentati i lavoratori delle miniere pubbliche e private sia per l’unità sindacale nella lotta. I minatori minacciano di proseguire lo sciopero con piani di mobilitazione, ma il governo sembra intenzionato ad aprire una strada al dialogo e alla negoziazione per non mettere a rischio un terzo della produzione mondiale di rame con una perdita di 80 milioni di dollari. Le vendite di rame, infatti, in Cile rappresentano il 55% del totale delle esportazioni del paese.

lunedì 8 aprile 2013

Evo Morales e la nazionalizzazione della lotta al narcotraffico. Destabilizzazione e geopolitica




Il giornalista Patricio Mery rivelava, lo scorso ottobre, una vasta operazione per il trasporto della droga dalla Bolivia al Cile, con la complicità della polizia cilena e del ministro della Difesa Rodrigo Hinzpeter, braccio destro di Sebastián Piñera. La notizia ha preso una piega di rilievo quando è stato rivelato che il denaro ottenuto da quest’attività illegale è stato utilizzato dalla CIA per destabilizzare il Presidente ecuadoriano Rafael Correa, uno dei leader latinoamericani più ostili agli Usa. La gestione illegale della droga con coinvolgimento della CIA e della DEA prevedeva un aumento dei finanziamenti destinati al golpe silenzioso: 87 milioni di dollari per comprare giornalisti che montassero scandali su Correa. Dopo l'Irangate (la cellula Oliver North aveva finanziato ribelli anticomunisti attraverso la gestione della cocaina che dalla Colombia raggiungeva gli Stati Uniti), la scelta del Presidente Morales appare più come un’accusa: l’utilizzo della lotta alla droga come espediente per ingerenze nella sovranità nazionale dei paesi latinoamericani e per destabilizzare i governi non allineati e appropriarsi delle risorse.
I rapporti tra Usa e Bolivia sono tesi dal 2008, anno dell’espulsione dell’ambasciatore Philip Goldberg e successivamente di quello boliviano dagli USA. Il tentativo della Casa Bianca di conciliazione attraverso il dono di un aereo King Hair, tre cargo C-130 e otto elicotteri UH-1H è al momento fallito. Morales non ha tardato a chiarire, in un incontro pubblico nel comune di di San Luis di Chaqui Boliviano, che si tratta di mezzi vecchi e soprattutto che il Paese utilizzerà le proprie risorse (corrispondenti a 40 milioni di dollari) per le attività di intelligence e di lotta contro il traffico di droga. Parola d’ordine: nazionalizzare la lotta contro il traffico della droga per riappropriarsi della propria sovranità ed evitare malcelate ingerenze. A questo proprosito, Morales ha annunciato che anche la regione del Chapare, base operativa contro il traffico di droga, passerà sotto il governo boliviano.

Siria. Autobomba dei ribelli esplode nel centro di Damasco



Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato e dall’agenzia Agence France Presse, un’autobomba è esplosa nel centro di Damasco, presso l’area di al-Shahbander, causando numerose perdite. L’esplosione, ad opera dell’Esercito Libero, è avvenuta nei pressi della Banca centrale della Siria, di una scuola e dell’ospedale. Decine di morti.

domenica 7 aprile 2013

Attacco aereo della Nato in Afghanistan: morti 12 civili tra cui 10 bambini




Operazione congiunta delle forze afgane e della Nato nella notte nella provincia di Shigal, distretto di Kunar, al confine con il Pakistan. Durante l’attacco aereo sono state uccise 22 persone tra cui 10 bambini, come riferito dal portavoce provinciale Wasifullah Wasifi e confermato da un giornalista di Reuters che ha visto i corpi. I funzionari locali hanno stilato una relazione in cui si parla del crollo di una casa durante l’operazione, in cui sono rimaste ferite anche sei donne e ucciso un capo talebano. Le truppe americane erano state costrette a ritirarsi dalla regione nel febbraio scorso dopo la denuncia di torture e molestie sui civili.

Se a usare le armi chimiche fosse stato Assad… L’inchiesta dell’Onu su quelle dei ribelli fallisce




Nessuna sorpresa. La famosa “linea rossa” più volte citata da Obama a proposito di Assad e dell’uso delle armi chimiche è stata invece varcata senza conseguenze dall’Esercito Libero sostenuto dagli Stati occidentali e addestrato dalla Cia. Il tutto nel totale silenzio dei media occidentali, impegnati nella costruzione dell’ennesima Grande Bugia e nell'orchestrazione di una propaganda che ha portato ai disastri di Iraq e Libia. Qualche giorno fa la notizia: l’Onu non è riuscita a trovare informazioni sull’uso delle armi chimiche da parte dei ribelli, avvenuto il 19 marzo ad Aleppo in un’area vicina ad Al-Bab, quartiere controllato dal gruppo jihadista Al-Nusra. Nella strage il bilancio è stato di 26 morti (tra cui numerosi componenti dell’esercito lealista) e 110 feriti per lesioni da scoppio, ustioni e fratture ma anche per problemi respiratori legati all’utilizzo del cloro (CL17). La richiesta dell’istituzione di una Commissione d’inchiesta indipendente era stata fatta da Assad e si è conclusa con un nulla di fatto. Doppio registro, nel nome della giustificazione dell’esportazione della democrazia.

venerdì 5 aprile 2013

Il piano americano per destabilizzare il Venezuela di Chavez. Il ruolo delle ONG e delle agenzie americane




Obiettivo strategico: destabilizzare il Venezuela raggiungendo la società civile organizzata che non nutriva simpatie verso Chavez e confondere i suoi sostenitori e gli stranieri. Un piano che passava attraverso la capillare infiltrazione della U.S. Agency for International Development (USAID) e dell’Office of Transition Initiatives (OTI) attraverso una rete di Ong attentamente orchestrate.
Russell Porter, il direttore dell’USAID, visitò il Venezuela nel 2002 con il compito di valutare la situazione politica. La presenza di una democrazia dal basso vivace (consejos comunales, radio e tv popolari, iniziative per l’alfabetizzazione e la lotta contro la povertà) mostrò una situazione diversa da quella immaginata: il forte attaccamento del popolo al suo Presidente portò l’USAID a prendere iniziative per un repentino cambio di regime che favorisse gli Stati Uniti attraverso il finanziamento, la creazione e la consulenza anti-Chavez dei partiti politici, delle ONG e dei media.
Tre mesi dopo il viaggio di Porter in Venezuela, gli stessi gruppi orchestrarono un colpo di stato contro Chavez. Un golpe sventato in 48 ore che diede un quadro chiaro della situazione venezuelana. Durante i primi due anni di attività, l’USAID/OTI stanziò 10 milioni di dollari, utilizzati per finanziare circa 64 gruppi di opposizione e molti programmi in Venezuela.
Nel 2006 l’ex ambasciatore statunitense, William Brownfield, delineò un piano globale per infiltrarsi nel tessuto sociale attraverso tre obiettivi: penetrare nella base politica chavista, proteggere gli affari degli Usa nell’area venezuelana e isolare internazionalmente Chavez. Un milione di dollari per organizzare 3.000 forum al fine di individuare punti in comune tra opposizione e chavisti, 600.000 venezuelani raggiunti dalle ONG nelle regioni a basso reddito con un programma di educazione civica denominato “Democrazia tra noi” e una rete di avvocati che doveva occuparsi di presunte violazioni nelle carceri. Furono inoltre stanziati oltre 15 milioni di dollari per 300 organizzazioni non governative che avevavo il compito di portare avanti il piano di destabilizzazione del Venezuela, diventato di difficile penetrazione dopo le elezioni del 2006.
Il martellante attacco ai diritti umani divenne il cavallo di battaglia dell'USAID: fu portato avanti anche attraverso la creazione di una rete docenti universitari a pagamento. Nonostante il massiccio dispiegamento di forze, il Venezuela del 2006 scelse ancora il cammino della rivoluzione bolivariana. In seguito alle elezioni, anche la strategia dell’USAID/OTI cambiò: orientare gli investimenti su movimenti giovanili capaci di raggiungere i moderni social network e di utilizzare le nuove tecnologie. Dal 2006 al 2010, più del 34% del bilancio USAID - che si avvicinava 15 milioni di dollari l'anno - fu utilizzato per finanziare programmi universitari, seminari e altri eventi per costruire un movimento anti-Chavez. Nel 2010, i finanziamenti esterni per i gruppi di opposizione in Venezuela raggiunsero più di $ 57 milioni, la maggior parte proveniente da agenzie statunitensi come l'USAID e il National Endowment for Democracy.
Riflessioni a margine
Le Ong apripista dell’occidentalizzazione? Copione che si ripete in tutto il mondo: creare organizzazioni alle dipendenze del Dipartimento di Stato, alimentare un clima di proteste e spesso di violenze, far circolare materiale manipolato per far passare l’idea di una “dittatura”, fomentare le differenze su basi etniche o sociali. Immotivata la decisione di espellere dal Venezuela l’USAID nel 2010? Identico canovaccio in Medio Oriente come in America Latina, passando per tutte le esperienze di ingerenza dell’Occidente nella sovranità nazionale e nel processo di costruzione dell’identità politica dei popoli, di quelli non allineati ovviamente.

giovedì 4 aprile 2013

Siria. Centinaia di jihadisti europei combattono nell’Esercito Libero





Sono affiliati ad Al Qaeda, hanno passaporto inglese e sono partiti per la Siria con l’intento di unirsi ai ribelli per combattere Bashar Assad. Secondo una stima dell’International Centre of for the Study of Radicalization (ICRS), 5.500 combattenti stranieri sono arrivati in Siria e l’11% proviene dall’Europa, in ordine da Gran Bretagna, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Danimarca. Il quadro, come avverte uno dei ricercatori, è incompleto e frammentario e la maggior parte dei dati proviene da siti online che elogiano il martirio di jihadisti. La preoccupazione dei governi interessati alle partenze è legata a un possibile terrorismo di ritorno dopo l’esperienza sul campo in Siria. Nel caso della Gran Bretagna, come ha spiegato il giornalista siriano Al-Abdeh, il numero dei combattenti potrebbe essere molto più alto di quello stimato perché va operata una distinzione tra residenti nel Regno Unito e individui che vi hanno vissuto per un gran numero di anni. Charles Farr, il direttore dell'Ufficio per la sicurezza e la lotta al terrorismo, ha presentato la relazione annuale del Ministero dell'Interno stimando che il numero di combattenti britannici si aggira intorno ai 70-100 e si tratta perlopiù di veterani che hanno contribuito a estromettere Gheddafi dalla Libia. Il Telegraph ha riferito che si tratterebbe di jihadisti legati alla cellula estremista Jabhat al-Nusra. Nonostante le preoccupazioni dei governi legate alla trasformazione della Siria in un magnete di Al Qaeda, Gran Bretagna e Francia sono state, nelle scorse settimane, tra le promotrici della rimozione dell’embargo sulle armi. Come ha sottolineato Al-Abdeh, i campi di battaglia della Jihad sono cambiati nel corso dei decenni con gli scenari geopolitici, dall’Afghanistan degli anni Ottanta alla Bosnia e Cecenia fino alla Siria, che assume per i jihadisti un significato religioso speciale: il luogo dove, secondo il Corano, Gesù sta per tornare.

Usa, progressi negli studi per le armi radioattive. Ma gli occhi dell’Occidente sono puntati su quelle chimiche della Siria



Il doppio registro occidentale e l’assenza di notizie scomode sulla stampa nostrana. Gli occhi dell’Occidente puntati sulla Siria, come da copione già visto in Iraq, alla ricerca di armi chimiche presenti sul territorio, non importa se utilizzate dal fantomatico Esercito Libero o realmente da Assad contro il suo popolo. Intanto importanti notizie non trovano spazio tra i media occidentali e riguardano l’arricchimento dell’arsenale “strategico” degli Usa, l’unico Paese a possederne in grandi quantità (in nome della prevenzione) e ad averne fatto uso in un conflitto (a Hiroshima e Nagasaki). La divisione Bioeffects della forza aerea degli Stati Uniti rende noto che è stata avviata una ricerca che mira allo sviluppo di nuove armi radioattive e allo studio dei cambiamenti provocati dalle radiazioni nel corpo a livello molecolare. 49 milioni di dollari investiti nella scoperta degli effetti biologici che derivano dall’esposizione del corpo umano a onde di alta potenza per produrre armi da utilizzare in quelle che gli Stati Uniti hanno definito “operazioni strategiche” sia per uso “difensivo che offensivo. L’esercito statunitense è già in possesso di armi radioattive classificate come “non letali” (Active Denial System) in grado di emettere onde elettromagnetiche con una frequenza di 95 gigahertz attraverso un’antenna radio. L’innalzamento della temperatura corporea fino a 55 gradi causa un intenso dolore e costringe ad abbandonare l’area sottoposta all’emissione di onde. Sistema sperimentato e certificato nel 2005 ed utilizzato in Iraq nel 2007. Il nuovo studio sarà condotto per sette anni ed includerà esperimenti da laboratorio e sul campo.

mercoledì 3 aprile 2013

L’assassinio di Lumumba e l’ombra dei servizi segreti inglesi




Nel 2001 una Commissione d’inchiesta parlamentare belga ha accertato la responsabilità “morale” del Belgio nell’assassinio del leader congolese Patrice Lumumba, avvenuto il 17 gennaio 1961. A dicembre dello scorso anno è stata aperta un’inchiesta formale, nonostante le scuse ufficiali del governo alla Repubblica Democratica del Congo. In questi giorni nuove rivelazioni da parte di un quadro del MI6 aprono scenari inquietanti: l’ombra dei servizi segreti britannici dietro la morte del leader dell’indipendenza congolese? A Daphne Park era stato affidato qualche mese prima della sua morte, il compito di organizzare l’'assassinio di Lumumba. David Lea, accusa la “regina delle spie”, com’era soprannominata dalla stampa britannica la Park, console e primo segretario a Leopoldville (ora Kinshasa) dal 1959 al 1961, ossia – come ammesso dalla stessa Gran Bretagna - capo del MI6 nell’area congolese. Durante un incontro informale, il console aveva rivelato che l’assassinio di Lumumba si legava alla paura che avrebbe consegnato le risorse minerarie ai russi escludendo le potenze occidentali. Punto di vista condiviso dalla Cia, che aveva già cercato di assassinare il leader congolese. In particolare la spartizione riguardava ricchi depositi di uranio ad alto valore così come i diamanti e altri minerali importanti che in gran parte si trovavano nello stato orientale secessionista del Katanga.
Lumumba affrontò con lucidità e preveggenza il processo di decolonizzazione del suo Paese, ma soprattutto comprese le dinamiche profonde del neocolonialismo. La consegna del Congo ai congolesi nel 1960 assunse caratteristiche diverse dal resto dell’Africa: Lumumba capìche l’indipendenza passava per un processo di rielaborazione della memoria, con una denuncia chiara delle sofferenze imposte dai belgi e la costruzione di un’identità condivisa e soprattutto affermata a chiare lettere; il momento più toccante, come racconta Ludo De Witte, non fu la cerimonia di proclamazione di Lumumba primo ministro del Congo indipendente, ma l’inno del nuovo Stato e l’applauso dei funzionari britannici. “A Leopoldville, tutto è andato immediatamente e terribilmente fuori dai binari – scrive De Witte – e quel deragliamento era molto più di un rituale viziato. In pochi minuti, era stata strappata la maschera sul futuro rapporto dell'Africa ad ovest”. Una notizia, quella della rivelazione di David Lea, taciuta dalla stampa internazionale. Come sottolineato da Calder Walton, studioso dei servizi segreti britannici, potrebbe cadere il mito di una colonizzazione nella percezione pubblica della Gran Bretagna “buona”. Con buona pace della coscienza occidentale.

Il pittore che cattura ogni goccia. Salvando circa 414.000 litri d'acqua all’anno



Goccia dopo goccia. È una storia insolita quella di Aabid Surti, un artista di 77 anni che vive a Mumbai e da sette anni si offre di riparare gratuitamente i rubinetti che gocciolano negli appartamenti della sua città. Surti visita in media 1.600 case, chiedendo solo il prezzo della rondella: 25 paise all’ingrosso, 50 al dettaglio. Scrittore e pittore, continua a ripetere che l’opera che più lo ha emozionato è il contributo personale alla salvezza del pianeta, senza grandi finanziamenti e armato di buona volontà e tenacia. L’idea di Surti è nata quando ha sentito gocciolare il rubinetto in casa di un amico: troppo costoso ripararlo. Nello stesso periodo, la pubblicazione di una statistica sugli sprechi di acqua legati al malfunzionamento degli impianti idraulici lo ha convinto ad avviare un’iniziativa che lui spera possa diffondersi a macchia d’olio in altre parti del mondo. Attraverso un piccolo finanziamento ha fondato un’organizzazione, Drop Dead, dedita a preservare le risorse idriche del pianeta. Come ama ricordare: “Entro il 2025 più di 40 paesi sperimenteranno la crisi dell’acqua. Mi sono ricordato la mia infanzia in un ghetto, un combattimento per ogni secchio. La scarsità d’acqua equivale alla fine della vita civile”.
L’iniziativa è stata seguita dai media nazionali e internazionali, suscitando la curiosità di giornalisti e blogger, che hanno accolto con entusiasmo il messaggio semplice alla base della filosofia di Aabid: “Non siamo in grado di salvare il Gange o il fiume Yamuna, ma si possono risparmiare gocce qua e là e quelle poche gocce contano”. Così, in compagnia di qualche volontario e di un idraulico, Surti trascorre le domeniche bussando alle porte per riparare i piccoli guasti, sperando che il messaggio di tutela del pianeta e delle sue risorse possa essere da esempio ed innescare altri propositi e azioni.

La Repubblica Ceca apre all’uso terapeutico della cannabis



Con 67 a favore voti su 74, il Senato della Repubblica Ceca ha autorizzato l’uso della marijuana per scopi terapeutici, soprattutto nel trattamento dei sintomi di malattie gravi come il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson e altre patologie come l’eczema e le convulsioni. L’acquisto è sottoposto a prescrizione medica ed entro l’anno prossimo sarà consentito coltivare cannabis per 5 anni previa autorizzazione statale. Nel frattempo la cannabis verrà importata dai Paesi Bassi e da Israele.

lunedì 1 aprile 2013

Il “caffè sospeso”. La solidarietà in Francia ai tempi della crisi: quando Napoli diventa un modello





Napoli potrebbe racchiudersi tutta in un caffè. L’aroma che inebria i vicol e che riporta alla mente le sue contraddizioni. Gusto forte, colore nero, la "tazzulella"dove rischi di lasciare le labbra tranne specificare rigorosamente “tazza fredda”, quasi un mantra di fronte al volto del barista che lascia scorrere velocemente le mani sul bancone. Un variegato mondo che si spalanca mentre sorseggi e dalla vetrata osservi il rumore della gente che parla, con tono familiare. L’odore delle sfogliate calde e dello zucchero che si scioglie nei pensieri e ti riporta di nuovo tra i tintinnii delle tazzine e gli sbuffi della macchinetta del caffè espresso. La Napoli della solidarietà secolare, quella descritta da De Crescenzo ne“I pensieri di Bellavista”, resa nota dalla sceneggiatura di Tonino Guerra:

“Una volta a Napoli, nel quartiere Sanità, quando uno era allegro, perché qualcosa gli era andata bene, invece di pagare un caffè ne pagava due e lasciava il secondo caffè, quello già pagato, per il prossimo cliente. Il gesto si chiamava “il caffè sospeso”. Poi, di tanto in tanto si affacciava un povero per chiedere se c’era un “sospeso”. Era un modo come un altro per offrire un caffè all’umanità”.

La Napoli dove il caffè è un rito: del risveglio del mattino, dell’accoglienza di un ospite, del riposo pomeridiano come raccontava De Filippo… “A noialtri napoletani, toglierci questo poco di sfogo fuori al balcone… Io, per esempio,; a tutto rinuncerei tranne a questa tazzina di caffé, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato”.

Il caffè come momento di socializzazione, ma anche punto esatto in cui si incontrano e confondono le estremizzazioni e le contraddizioni del sostrato sociale: ridistribuire e unificare attraverso un gesto, un circuito semplice che si esaurisce sul fondo della tazza dove qualche anziana può anche leggerti il futuro.
Da qualche anno un modello da esportare nella Parigi della solidarietà ai tempi della crisi, ma anche in Bulgaria dove fast food e negozi alimentari hanno ripensato l’iniziativa: offrire una pagnotta di pane o un panino per gli indigenti. In Francia l’iniziativa è stata ripresa dalla pagina Facebook Les Indignés De France. Il motto: «calore di un caffè in un giorno freddo d'inverno», quasi una leggenda per i francesi, che hanno scoperto il “caffè sospeso” attraverso il blog di un turista inglese che descriveva con meraviglia il gesto di un uomo di 80 anni dall’elegante cappello borsalino. Funzionerà in un contesto completamente diverso? Il caffè sospeso è innanzi tutto un atto di fiducia, la percezione che i soldi lasciati rientrino nel circuito della beneficenza. Ci piace pensare che un rito scemato nella Napoli dell’euro possa rivivere in altre atmosfere. Portando, magari, la stessa magia.

Approvato il "Monsanto Protection Act" negli Stati Uniti. La legalizzazione degli OGM




Il Farmer Assurance Provision - Section 735 è stato approvato dal Senato degli Stati Uniti martedì scorso. Ribattezzato col nome di “Monsanto Protection Act”, prevede l’immunità della multinazionale davanti ai tribunali federali per le coltivazioni sperimentali approvate, anche se dannose per l’uomo e per l’ambiente. Nonostante le proteste dell’opinione pubblica e delle organizzazioni che combattono l’introduzione degli OGM, tra cui la Food Democracy Now, per i prossimi sei mesi la legge prevede enormi privilegi per le società che si occupano di colture geneticamente modificate. La norma è stata redatta dal senatore repubblicano del Missouri, Roy Blunt, in collaborazione con la stessa Monsanto; un uomo che vanta nel curriculum rapporti con la Big Oil e altre società accusate di inquinare il pianeta. Una lobby, la Monsanto, al centro di un dibattito scientifico ed etico (le accuse per i suicidi degli agricoltori indiani, la schiavizzazione dei lavoratori in Argentina, la falsificazione delle dichiarazioni della Food and Drug Administration per diffondere sementi geneticamente modificate, gli studi che stabiliscono la relazione tra Ogm e insorgenza del cancro), una lobby che scrive provvedimenti legislativi. Uno dei tanti punti che lasciano perplessi e aprono scenari inquietanti, perché la scelta di privilegiare una multinazionale piuttosto che i cittadini non si accorda con l'idea di un paese che si definisce modello perfetto di democrazia. L'operazione appare all’opinione pubblica contrastante: perché una multinazionale avrebbe bisogno di protezione se perfettamente legale, scavalcando la libertà dei consumatori di scegliere cibo naturale o geneticamente modificato? Il monopolio del seme come arma per controllare i popoli, come strategia alimentare e commerciale. Non a caso Gates possiede 500.000 azioni della Monsanto per un valore di 23 milioni di dollari e si è prodigato per la diffusione degli OGM come possibile soluzione della fame nel mondo, smentito dalla stessa Onu oltre che da una parte della comunità scientifica. Per il momento, vittoria dei lobbisti della Monsanto.