sabato 5 maggio 2012

Venti latinoamericani: l’Argentina “nazionalizza” la Ypf, la Ue minaccia ritorsioni

Con tutto il peso che comporta il ripensamento del liberismo e della globalizzazione come strategie politiche oltre che economiche, l’Argentina ha “nazionalizzato” la Yacimientos Petrolíferos Fiscales, una società sussidiaria della compagnia petrolifera spagnola Repsol, privatizzata nel 1992 e un tempo compagnia di Stato, la cui gestione era affidata a una holding finanziata dalla BCE attraverso diverse banche (tra cui le italiane Unicredit, Intesa SanPaolo, Banca Popolare di Milano, Societe General, Credit Agricole, e l’Eni). Non propriamente una “nazionalizzazione” - trattandosi di una ripartizione del pacchetto azionario in cui lo Stato argentino ha acquisito il 51%, diviso tra il governo federale (26,3% delle azioni) e le province che producono petrolio nel paese (il 24,99%), mentre la parte restante va alla Repsol (circa il 7%) e a un’azienda privata, la Peterson - ma comunque un passo avanti nel cammino di riconquista della sovranità nazionale inaugurato da vari paesi latinoamericani. Il 4 maggio il sì definitivo del Parlamento argentino, con una maggioranza schiacciante, provvedimento che alimenta il dibattito sulla sovranità e l’autodeterminazione dei popoli. Nei suoi discorsi, Cristina Kirchner torna spesso sulla necessità di tutelare le risorse e i prodotti nazionali, parole che suonano sulla bocca di vari leader dell’America meridionale, assieme alla denuncia di colonizzazione da parte dell’Occidente. L’economia ripensata in questi termini, come ha sottolineato la Kirchner, si baserebbe sullo sfruttamento delle risorse nazionali per la crescita del Paese, riducendo le importazioni dall’estero ed in particolare da Stati come la Cina, da cui l’Argentina non importa prodotti. La riappropriazione dell’estrazione del petrolio, in questo caso, sancisce un passo avanti nella gestione statale delle risorse e infrastrutture del paese: esportatore per 17 anni l’Argentina era diventata dal 2011 importatore “netto”. A fronte della decisione, la Spagna ed l’Unione Europea hanno chiesto una compensazione di almeno 10 miliardi di dollari per l’espropriazione, giustificata dalla Kirchner con un non adeguato livello di investimenti.
Retorica? Redistribuzione del capitalismo sulle macerie di Stati europei che continuano a gemere sotto gli attacchi della crisi? O reale esigenza di riappropriarsi della sovranità nazionale? Intanto emerge un dato importante: la partecipazione della popolazione alle decisioni sulla gestione delle risorse dell’Argentina. Il progetto non è stato solo appoggiato dagli alleati della maggioranza (Nuevo Encuentro, Frente Amplio Progresista, Proyecto Sur, mentre non ha riscosso l’appoggio dei “macristi” e dei peronisti di destra), ma è stato fortemente sostenuto da organizzazioni “dal basso”, come sindacati e associazioni politiche e sociali. Riappropriazione degli spazi da parte dei cittadini ma anche prospettive aperte: non solo suggestioni in termini di lotta ideologica, ancor di più ripensamento delle strategie di redistribuzione delle risorse tra paesi.

Il valore di una vita: quanto “costa” uccidere un civile afgano?

Tariffari e disumanità ai tempi delle guerre 05 Maggio 2012 Nel suo libro Anatomia della distruttività umana, Fromm parlava di “trasformazione dell’impotenza nell’esperienza dell’onnipotenza” e vedeva nella guerra la possibilità, per ogni uomo, di “distinguersi” e rompere la monotonia della quotidianità. Una sorta di ritorno a un istinto che permetteva di trasformare l’uomo in cadavere ma anche di gestire e sperimentare una forma di potere sull’altro, l’ipotetico nemico costruito ad hoc. Rileggendo queste considerazioni, tornano alla mente le immagini del 2004 nella prigione di Abu Ghraib, in Iraq, le scene di sevizie e di terrore, ma anche le più recenti fotografie che hanno fatto il giro del mondo sul conflitto in Afghanistan. Il 20 marzo, le immagini apparse su “Der Spiegel” hanno mostrato la disumanità delle guerre, ma ancor di più i complessi meccanismi di potere sulle popolazioni civili, obiettivi inermi di violenza tra forze che si contendono interessi e territori. I membri del «Kill Team», una sorta di squadrone della morte, mostravano corpi come trofei, dopo aver inscenato combattimenti per uccidere gratuitamente civili. Per riprendere l’osservazione di Fromm, la trasformazione dell’uomo in cadavere. Ma anche l’accanimento contro il cadavere per umiliare l’uomo. L’orrore delle stragi civili è apparso in tutta la sua drammaticità nello stesso periodo, a marzo di quest’anno, quando in un villaggio a sud di Kandahar sono state uccise 17 persone, tra cui numerosi bambini. I corpi sono stati ritrovati bruciati. L’episodio ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il dramma dei civili nelle guerre in maniera amplificata, “in diretta”, come siamo abituati a vivere la storia ai tempi di internet e dei mass media. Sono tornate alla mente le atrocità delle guerre balcaniche, scie di sangue che hanno aperto negli anni Novanta un ampio dibattito sulle vittime non militari nei conflitti moderni e hanno fatto affiorare una nuova sensibilità, anche in ambito storiografico, che ha permesso di rivalutare l’impatto delle violenze sulle popolazioni, il complesso rapporto con gli eserciti stranieri, la condivisione di bisogni primari e le atrocità commesse gratuitamente ai danni di persone inermi.
La guerra non più come conquista di un territorio e di uno spazio fisico, ma anche come gratuito sistema di violenza sulla vita dei “nemici”; si potrebbe dire atrocità presenti in tutte le guerre, ma con un impatto maggiore dovuto alla diffusione mediatica di immagini e filmati. Proprio in seguito al conflitto iracheno, tuttavia, in cui, stando a stime recenti ma non certo esaustive, americani e inglesi hanno lasciato sul terreno più di un milione di civili, si è innescato un vero e proprio sistema di risarcimento da parte degli Usa attraverso un tariffario su cui basarsi per “ri-pagare” le vittime. Già in Iraq l’elevato numero di vittime civili aveva spinto il Pentagono a dislocare sul territorio appositi uffici legali, dove avviare le pratiche per essere risarciti presentando la documentazione dei danni subiti. In Afghanistan, a febbraio, la Missione d'assistenza delle Nazioni Unite riferiva che le vittime civili nel 2011 ammontano a 3.021, rispetto ai 2.790 morti registrati nel 2010. Dal 2007 sono circa 12.000 le persone morte nel conflitto. Stesse modalità di risarcimento nel territorio afgano, dove il CMOC (Civilian Military Operation Center) si occupa di approvare a propria discrezione le richieste di risarcimento (considerate contributi di solidarietà) delle vittime civili, utilizzando criteri stabiliti. In caso di perdita di un parente, viene applicato il rimborso "per doglianza", denominato Foreign Claims Act (FCA) e inserito nel volume 10 del Codice degli Stati Uniti, che ammonta a 2.500 dollari e viene erogato in caso di perdita di beni, di danneggiamenti e lesioni fisiche. La cifra del “rimborso”scende a 1.000 dollari in caso di lesioni gravi e a 500 dollari per danni materiali. I fondi stanziati per i risarcimenti provenivano, nel caso dell’Iraq, dai beni sequestrati a Saddam Hussein, mentre per l’Afghanistan si fa ricorso al Cerp (Commander's Emergency Response Program), un programma stanziato dal governo statunitense per favorire progetti nel territorio. Non solo americani, ma anche tedeschi e inglesi risarciscono le morti dei civili, con cifre superiori. E l’Italia? Nel 2009 veniva uccisa, per mano italiana, la tredicenne Behooshahr a Herat. La somma versata dal governo, considerata un “equo risarcimento”, ammontò a 20.000 euro. Tariffari ai tempi delle guerre moderne, ma anche rovesci della medaglia per delineare un quadro a 360 gradi delle atrocità delle guerre. Qualche settimana fa l’indagine di Nicholas Kristof sul New York Times sui veterani di guerra: 6.500 suicidi ogni anno danno un’idea della drammaticità dei conflitti sull’uomo. Si tratta di una cifra elevata, “più del totale dei morti in combattimento di Iraq e Afghanistan messi insieme”. Semplicemente la guerra a “livelli”, come indagato da Fornari. Non solo lotta pseudo-manichea visibile, non solo guerra come evento, ma anche latente forza primordiale che spinge a costruire e lottare contro nemici costruiti interiormente, “terribili realtà fantasmatiche (…) che potremmo chiamare il Terrificante”. E l’orrore va in scena, spesso sotto mentite spoglie, quelle della pace.

mercoledì 2 maggio 2012

La Toscana approva l’uso terapeutico della cannabis. Una svolta anche in Italia

"Mi chiamo Lucia, ho 30 anni e la sclerosi multipla. Stavo su una sedia a rotelle, ora grazie alla cannabis cammino". Con queste parole, in una toccante lettera testimonianza che ha fatto il giro del web nel novembre 2011, si racchiudeva tutta la speranza riposta da alcuni malati di sclerosi nell’uso dei cannabinoidi nella terapia del dolore e si apriva un dibattito sulla somministrazione di sostanze stupefacenti come palliativi per alcune malattie. Lucia, assieme ad altri quattro pazienti, sperimentava gratuitamente il Bedrocan, farmaco ricavato da infiorescenze di marijuana, nell’ospedale di Casarano, in provincia di Lecce, sperimentazione resa possibile grazie a un decreto ministeriale (18/04/2007) e a una delibera della giunta regionale pugliese (308/2010). Nella lettera, la giovane donna descriveva i “miglioramenti evidenti ed eclatanti nell'andatura, nei tremori, nei dolori, negli spasmi muscolari, nella rigidità, nell'appetito, nell'umore e nel miglioramento totale della qualità di vita" e si augurava che diversi centri come quelli di Casarano riuscissero a sperimentare l’uso della cannabis a scopo terapeutico. Oggi il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato l’uso sanitario della cannabis, da somministrare sia a casa che in ospedale a scopo terapeutico. E’ la prima legge regionale in materia, approvata già qualche giorno fa dalla Commissione sanità, con voto contrario di Pdl e Udc. L'assemblea si è pronunciata anche su una richiesta al ministero della Sanità di valutare se i cannaboidi siano da inserire nel tabellario farmaceutico. Oltre al rimborso dei farmaci, la legge regionale consentirà uno snellimento dei tempi burocratici con una somministrazione presso “le strutture del servizio sanitario regionale, Asl, strutture private (che erogano prestazioni in regime ospedaliero)”. Nel caso di Casarano, infatti, l’iter era molto complesso e partiva dalla prescrizione medica, passando per un’autorizzazione del Ministero della Salute che poi avviava una pratica in Olanda per il reperimento del farmaco somministrato ai cinque pazienti in ospedale. Nella relazione alla proposta di legge si è posto l’accento sull’efficacia farmacologica dei cannabinoidi, fondata "su acquisizioni scientifiche, sperimentazioni e pratiche cliniche sempre piu' diffuse a livello mondiale". Olanda, Canada e Stati Uniti, infatti, utilizzano da anni la somministrazione di cannabis per curare alcune malattie come la sclerosi multipla, la depressione e nel trattamento del dolore nei pazienti affetti da cancro.