sabato 5 maggio 2012

Il valore di una vita: quanto “costa” uccidere un civile afgano?

Tariffari e disumanità ai tempi delle guerre 05 Maggio 2012 Nel suo libro Anatomia della distruttività umana, Fromm parlava di “trasformazione dell’impotenza nell’esperienza dell’onnipotenza” e vedeva nella guerra la possibilità, per ogni uomo, di “distinguersi” e rompere la monotonia della quotidianità. Una sorta di ritorno a un istinto che permetteva di trasformare l’uomo in cadavere ma anche di gestire e sperimentare una forma di potere sull’altro, l’ipotetico nemico costruito ad hoc. Rileggendo queste considerazioni, tornano alla mente le immagini del 2004 nella prigione di Abu Ghraib, in Iraq, le scene di sevizie e di terrore, ma anche le più recenti fotografie che hanno fatto il giro del mondo sul conflitto in Afghanistan. Il 20 marzo, le immagini apparse su “Der Spiegel” hanno mostrato la disumanità delle guerre, ma ancor di più i complessi meccanismi di potere sulle popolazioni civili, obiettivi inermi di violenza tra forze che si contendono interessi e territori. I membri del «Kill Team», una sorta di squadrone della morte, mostravano corpi come trofei, dopo aver inscenato combattimenti per uccidere gratuitamente civili. Per riprendere l’osservazione di Fromm, la trasformazione dell’uomo in cadavere. Ma anche l’accanimento contro il cadavere per umiliare l’uomo. L’orrore delle stragi civili è apparso in tutta la sua drammaticità nello stesso periodo, a marzo di quest’anno, quando in un villaggio a sud di Kandahar sono state uccise 17 persone, tra cui numerosi bambini. I corpi sono stati ritrovati bruciati. L’episodio ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il dramma dei civili nelle guerre in maniera amplificata, “in diretta”, come siamo abituati a vivere la storia ai tempi di internet e dei mass media. Sono tornate alla mente le atrocità delle guerre balcaniche, scie di sangue che hanno aperto negli anni Novanta un ampio dibattito sulle vittime non militari nei conflitti moderni e hanno fatto affiorare una nuova sensibilità, anche in ambito storiografico, che ha permesso di rivalutare l’impatto delle violenze sulle popolazioni, il complesso rapporto con gli eserciti stranieri, la condivisione di bisogni primari e le atrocità commesse gratuitamente ai danni di persone inermi.
La guerra non più come conquista di un territorio e di uno spazio fisico, ma anche come gratuito sistema di violenza sulla vita dei “nemici”; si potrebbe dire atrocità presenti in tutte le guerre, ma con un impatto maggiore dovuto alla diffusione mediatica di immagini e filmati. Proprio in seguito al conflitto iracheno, tuttavia, in cui, stando a stime recenti ma non certo esaustive, americani e inglesi hanno lasciato sul terreno più di un milione di civili, si è innescato un vero e proprio sistema di risarcimento da parte degli Usa attraverso un tariffario su cui basarsi per “ri-pagare” le vittime. Già in Iraq l’elevato numero di vittime civili aveva spinto il Pentagono a dislocare sul territorio appositi uffici legali, dove avviare le pratiche per essere risarciti presentando la documentazione dei danni subiti. In Afghanistan, a febbraio, la Missione d'assistenza delle Nazioni Unite riferiva che le vittime civili nel 2011 ammontano a 3.021, rispetto ai 2.790 morti registrati nel 2010. Dal 2007 sono circa 12.000 le persone morte nel conflitto. Stesse modalità di risarcimento nel territorio afgano, dove il CMOC (Civilian Military Operation Center) si occupa di approvare a propria discrezione le richieste di risarcimento (considerate contributi di solidarietà) delle vittime civili, utilizzando criteri stabiliti. In caso di perdita di un parente, viene applicato il rimborso "per doglianza", denominato Foreign Claims Act (FCA) e inserito nel volume 10 del Codice degli Stati Uniti, che ammonta a 2.500 dollari e viene erogato in caso di perdita di beni, di danneggiamenti e lesioni fisiche. La cifra del “rimborso”scende a 1.000 dollari in caso di lesioni gravi e a 500 dollari per danni materiali. I fondi stanziati per i risarcimenti provenivano, nel caso dell’Iraq, dai beni sequestrati a Saddam Hussein, mentre per l’Afghanistan si fa ricorso al Cerp (Commander's Emergency Response Program), un programma stanziato dal governo statunitense per favorire progetti nel territorio. Non solo americani, ma anche tedeschi e inglesi risarciscono le morti dei civili, con cifre superiori. E l’Italia? Nel 2009 veniva uccisa, per mano italiana, la tredicenne Behooshahr a Herat. La somma versata dal governo, considerata un “equo risarcimento”, ammontò a 20.000 euro. Tariffari ai tempi delle guerre moderne, ma anche rovesci della medaglia per delineare un quadro a 360 gradi delle atrocità delle guerre. Qualche settimana fa l’indagine di Nicholas Kristof sul New York Times sui veterani di guerra: 6.500 suicidi ogni anno danno un’idea della drammaticità dei conflitti sull’uomo. Si tratta di una cifra elevata, “più del totale dei morti in combattimento di Iraq e Afghanistan messi insieme”. Semplicemente la guerra a “livelli”, come indagato da Fornari. Non solo lotta pseudo-manichea visibile, non solo guerra come evento, ma anche latente forza primordiale che spinge a costruire e lottare contro nemici costruiti interiormente, “terribili realtà fantasmatiche (…) che potremmo chiamare il Terrificante”. E l’orrore va in scena, spesso sotto mentite spoglie, quelle della pace.

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