domenica 31 marzo 2013

Il Buthan e la “politica nazionale organica”: il primo paese con coltivazione al 100% biologica?




La Gross National Happiness (GNH) e il FIL, la felicità interna lorda, contrapposta al PIL dei sistemi occidentali per definire parametri di valutazione non standardizzati su base puramente economica. La felicità al centro dell’interesse politico del piccolo regno situato tra l’India e la Cina, alle pendici dell’Himalaya. Una comunità non priva di contraddizioni, considerata tra le più povere del mondo, dove il monarca Jigme Singye Wangchuck ha ben chiaro il valore etico della convivenza tra l’uomo e l’ecosistema. Armonia che tutti gli abitanti sostengono e incentivano.

Lho Mon, la terra delle tenebre, è uno dei nomi con cui viene indicata questa regione grande come la Svizzera, sferzata dai monsoni e con un clima alpino nella parte settentrionale e tropicale in quella meridionale. Si tratta di uno Stato in prevalenza agricolo, dove si coltivano riso, frutta, frumento e verdure, con vasti campi usati per l’allevamento di ovini, bovini e bovidi(i famosi yak) e un’organizzazione sociale che si basa anche sulla presenza comunità nomadi. Il Buthan della felicità, come risulta dalle interviste ai suoi abitanti, dove il connubio tra l’uomo e l’ambiente è diventato una scelta politica precisa: lavorare “in armonia con la natura” per produrre di più senza sacrificare la salute umana e senza alterare gli equilibri dell’ecosistema. Un contrasto che appare subito evidente rispetto alla comunità agricola indiana, dove il monopolio della Monsanto ha portato a un numero significativo di suicidi di agricoltori in rovina finanziaria.
La politica nazionale organica, così come viene definita, mette al bando OGM, pesticidi, erbicidi e prodotti spray a base di fluoro, assicurando un cibo di alta qualità per i 700.000 abitanti del Regno. Molti terreni del Buthan non sono mai stati contaminati da prodotti chimici e costituiscono una ricchezza per il Paese. La scelta di coltivare in maniera naturale al 100% porterebbe alla produzione di cibo “reale”, non modificato, come nella tradizione secolare delle comunità agricole umane. Quello che potrebbe apparire un privilegio dovrebbe essere in realtà l’esplicita richiesta globale e un modello quanto meno di riferimento per altri Stati soprattutto occidentali. Un’esigenza, quella di cambiare rotta per assicurare un futuro sostenibile all’uomo e al pianeta. Quando economia ed etica non vanno di pari passo.

1 commento:

  1. Ho avuto modo di approfondire il caso del Bhutan e c'è da affermare che purtroppo la Felicità Interna Lorda del paese viene ad essere minata dall'avvento delle nuove tecnologie come internet e i videogiochi. Questi, che costituiscono un forte "separatore sociale", non rispondono ad uno dei parametri fondanti del GNH (Gross Nationa Happiness): ciò che è della coesione sociale. Inoltre, l'avvento della droga, tra tutte la cannabis dall'India ma anche il maggior consumo di alcool tra i giovani, ha aumentato la problematica della felicità (ad uno standard più o meno raggiungibile).
    Circa l'agricoltura c'è da affermare che nel caso in cui il Bhutan decidesse di portare sino a fondo il concetto di crescita sostenibile (decrescita responsabile), questa rimarrebbe intatta e biologica, libera da logiche chimiche e di pesticidi.

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