giovedì 26 febbraio 2015

Ti parlo di sogni. Mi dici fuggire.

Ti parlo di sogni. Mi dici fuggire. Ti dico l’altrove più bello è dentro di noi, nello spazio di autenticità che ci fa desiderare di rimanere ancorati qui, dove siamo adesso.

Mi piace quest'astrazione che raccoglie parole e pensieri, un ventre annodato tra cielo e terra che si nutre di radici e di nuvole; a volte tenacemente stretto da sembrare radice, altre quasi sciolto da assumere la forma di una nuvola rubata al cielo della primavera. Questo ritaglio astratto permette di sopravvivere alle assenze e alle mancanze, lì si raccoglie la tenerezza di un pensiero fugace e lo slancio di timide presenze. Chiavi per arrivare a te, a volte spanate e deformate, altre perfette per chiedere di strappare attimi all’eternità.
Lì decido di tenerti stretto un po’, giusto il tempo di accarezzare con lo sguardo il tuo collo, scivolare con la bocca nella curva della spalla.

Un tempo sei stato anche tu bambino. Mi racconti di un pezzo di terra, una sorta di spazio dove lasci rincorrere confini e orizzonti, a tratti ti soffoca ma rimane l’odore della terra, forte e presente.

Un tempo quelle spalle hanno lasciato l’infanzia, poi c'è stato quello che ti ha fatto diventare un uomo. I nostri sguardi un po’ dopo, un pensiero proibito. Non ricordo lo spazio in cui sei rimasto, indisturbato e riservato. Nessun nome, forse il tuo.

E le tue spalle, esattamente come allora, hanno cercato il futuro senza lasciare andar via il passato. Sono spalle a cui chiedi di andar via e che invece rimangono nell’esatto punto in cui le hai lasciate a guardare la vita. Non si va via mai da soli, una legge mai scritta dice che devi portare il cuore. Forse un giorno fuggirai da questo ritaglio di cielo, ma hai ancora un po’ di tempo per respirarlo. Per questo ti chiedo rimani con me.





Immagine: Francesca Woodman

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