Era sera, era solitudine, era sogno.
Le nuvole squarciavano senza pudore un cielo ancora poco assonnato. Arabeschi di luce dei lampioni filtravano tra le tende e si stampavano su lenzuola di lino profumate. Potevo sentire il tuo corpo, tra le mani impregnate di troppe assenze e solitudini. Potevo misurarlo il tuo corpo, palmo dopo palmo, dita intrecciate a cercare sentieri di per sempre assolati.
È spesso triste il tempo delle attese.
È sempre vuoto il tempo della mancanza.
Tu riempi con i lembi della tua pelle, che ho sfiorato, annusato, cercato, tu riempi cerchi concentrici di occhi stanchi di tempo.
Ti ho sognato stanotte. Eri calma e bufera, riposo e frenesia. Eri il bosco che si affaccia sull’autunno, quello di settembre, quando nelle mattine mezze calde di silenzi e ore troppo scure, dalla terra si alzano odori. Le prime foglie cadute, le prime foglie marcite e poi scalpiccio di solitudini dagli occhi bassi.
Ti ho sognato stanotte, avevi occhi stanchi ma ti sforzavi di rapire un desiderio che sapesse di vita. Un passato che è ancora presente, un sapore di infanzia nascosto tra il fazzoletto della tasca, un sorriso stampato a ricordarti di essere un uomo. Eri tu, con l’arcata di solitudini che si fondono con mille altri pensieri.
Eri tu e mi hai detto: - Tempo di andare. Con me.
Immagine Man Ray
