sabato 2 agosto 2014

L’amore ai tempi delle psicosi




Quando Raimondo De Barrio si svegliò quella mattina, capì subito di dover stilare l’inventario dei volti o vuoti che aveva lasciato andare. Erano facce che dovevano chiedergli perdono, per le psicosi con cui avevano centrifugato la sua vita chiedendogli di fermarsi ogni volta a rielaborare e digerire fiumi di comportamenti anomali, pescati nel mare delle più recondite contraddizioni. Almeno così pensava.
Aveva avuto tante donne, a pensarci bene, persino troppe per ricordarne i dettagli. Eppure lui le aveva accettate tutte, con le loro psicosi da strapazzo e spesso da quattro soldi. Gli sfuggivano i volti, spesso i nomi, erano volati via i segni caratteristici su cui sembrava ogni volta si soffermasse attento a guardare, eppure ricordava perfettamente gli astratti e inspiegabili voli delle loro menti, guizzi che esploravano la follia fino a trasformarla in atteggiamenti. Aveva provato freneticamente a tornare a capo della situazione affettivo, emotiva, sentimentale di molti anni addietro, ma si era perso tutto nella notte dei tempi o nell’ultima notte del letto. Confuso. Tanto valeva tentare un approccio meno invasivo alle sue rimozioni: c’era una spiegazione a tutto, anche alla rimozione. Meno al dimenticare di dimenticare, per cui quella mattina gli sembrava che galleggiassero tra odori della notte e la prima luce che filtrava tra le persiane, alcune accettazioni che ben dimostravano la sua generosa e compassionevole mistura di amore e dedizione. L’inventario poteva dirsi completo, almeno di quelle che ricordava per averle frequentate negli ultimi anni.
C’era stata quella che aveva definito, senza ovviamente dirglielo mai, noiosamente ammalata di nevrastenia legata all’indaffarato occuparsi del prossimo. Una donna strana, lo aveva intuito subito. La mattina si alzava alle 5, massimo alle 5,30, si occupava del pranzo prima di andare a lavoro e preparava merende diverse a seconda dei gusti dei suoi tre bambini. Ricordava un particolare abbastanza serio, chiaro indice di una nevrastenia in atto, persino difficilmente curabile. Durante l’estate che avevano trascorso assieme, questa donna che stendeva a tutte le ore il bucato, seguiva i figli nei compiti, lavorava il resto dell’anno e riusciva persino a giocare con loro, ogni tanto in spiaggia sdraiata dormiva. Esattamente come i depressi. Era persino stanca! Lui riposava intere ore durante il giorno, era vero, ma lo faceva per piacere, per rilassarsi, per essere più attivo. Durante una delle sue sedute di osservazione dell’elemento in questione, prima di consigliarle vivamente di farsi seguire da uno psicoterapeuta, aveva attentamente riletto la definizione di “nevrastenìa (o neurastenìa) s. f. [comp. di nevro- (o neuro-) e astenia]. – Stato di debolezza nervosa, dovuto soprattutto a fattori costituzionali, che si manifesta con irrequietezza di tipo ansioso, prostrazione generale, diminuita capacità lavorativa, sentimento di tedio, e anche ipereccitabilità, cefalea, palpitazioni e varî disturbi gastrointestinali e circolatorî” sul vocabolario Treccani. Certo non corrispondevano i sintomi, nemmeno uno, ma era convinto di doverla spedire da un amico di fiducia, uno che lo aveva aiutato in passato.
Aveva avuto anche una donna che amava definire fondamentalista. Questa era bionda però, con banali occhi castani. Strana era questa tipologia, forse tra le più strane! Aveva rinunciato per anni al piacere perché cercava – così raccontava – l’uomo ideale che le insegnasse a essere donna completa. Ogni volta che lui enumerava le sue relazioni, così ricche di dettagli e colpi di scena, così foriere di storie d’amore intense e vissute, lui le faceva pesare sistematicamente una sua riflessione: non le piacevano gli uomini più piccoli. E come voleva chiamarsi questo aspetto se non patologia? Lei cercava di spiegare ogni volta, prima indifesa, poi evidentemente scocciata, che si trattava non di una condanna o principio universale, ma di una sua condizione. Non c’era nulla da spiegare. Solo falso moralismo! Che altro nome si poteva dare? L'aveva accettata, ma anche a questa aveva ovviamente consigliato una psicoterapeuta, meglio il suo amico, così avrebbe aiutato anche lui a capire se stesso.

L’ultima donna della lunga lista la ricordava con una sorta di disprezzo intellettuale misto a superiorità di quelle che si potevano facilmente sbandierare. Inutile farsi umili di fronte a una siffatta tipologia di esseri umani! Questa donna amava Bukowski, per un motivo che spiegava in maniera pure complessa e macchinosa secondo lui. Aveva a che fare con una lettura oltre le righe, tra le pieghe della miseria umana, con tratti geniali. Lui amava ricordarle una sua frase, imparata con difficoltà a memoria: “il problema è che le persone intelligenti sono piene di dubbi mentre le persone stupide sono piene di sicurezza”. Lei continuava a ripetergli che si trattava di una frase del filosofo Bertrand Russell, ma era proprio questo incenso dai contorni definiti e saccenti a infastidirlo! Lo inghiottiva fino a fargli perdere il senno. Era vero che aveva letto un solo libro di Bukowski, precisamente “Donne” o qualcosa del genere, a stento ne ricordava i personaggi, ma sapeva di aver colto l’elemento portante della poetica di questo tipo che piaceva a tanta gente: il disprezzo per il mondo femminile. Lontano da lui un simile atteggiamento! Lui le femmine le amava e le considerava importante completamento della sua indole pure irrequieta. Dal canto suo, questa donna dai capelli color rame e lo sguardo color del fiume in tempesta, aveva letto quasi tutto del vecchi Hank, eppure non era riuscita a cogliere i tratti essenziali che riusciva a vederci lui, solo lui sembrava. Lei era malata di ignoranza e presunzione, imperdonabile, una sorta di parere che definiva personale ma incontrava il gusto di molti. Ovviamente essenziale il consulto di uno bravo, magari il suo amico.
Fu proprio in quell’istante, mentre il pomeriggio volgeva al termine, stanco di affondare le mani nel passato, che pensò di salire in macchina e raggiungere il suo amico psicoterapeuta. Era molto tempo che non lo vedeva, avrebbe potuto chiedere delle sue donne, del suo occhio esperto in materia. Passava il tempo a leggere manuali di psicologia, d’altronde era la sua ragione di vita. Guidò talmente sereno che ebbe la sensazione che la sua auto sfrecciasse veloce come se riconoscesse quella strada. Suonò il citofono! Era a casa, finalmente.



N.d.A: A volte la realtà supera persino la fantasia.
Immagine: Ile de France

1 commento: