mercoledì 13 agosto 2014

Fama di bocca…




Melinda Parkinson aprì la rivista di attualità e le parole di un tal Allan Pease, psicoterapeuta australiano considerato uno dei più grandi “esperti di comunicazione e linguaggio del corpo”, provocarono il solito effetto alle sue labbra: un tremore indisturbato e pure incontrollato iniziò a diffondersi concentrandosi sotto la narice sinistra del suo naso. Fastidioso, a tratti pungente, spesso le provocava una raffica di starnuti che avevano come conseguenza l’improvviso lacrimare degli occhi e lo scioglimento del trucco messo con tanta cura come ogni sacrosanta mattina.
“Quali segnali ci avvisano che un politico sta mentendo? Le labbra che si muovono”, scriveva il tale Allan sulla rivista, quasi una massima da stampare tra le pareti dell’ufficio o mentre si guardava l’ennesimo noioso telegiornale delle 13. Lei non era politico né stava mentendo, cercava solo di capire perché nei momenti meno opportuni, che coincidevano spesso con quelli di imbarazzo, nervosismo , agitazione, il suo labbro superiore si metteva in movimento in maniera spasmodica come il naso di un coniglio impegnato a controllare la quantità d’aria da rigurgitare. Qualcuno avrebbe giurato che, dopo l’intervento di cheiloplastica, le sue labbra fossero intente a pronunciare, in maniera indipendente, qualche arcana parola mentre sollevava e abbassava l’arcata superiore del muso.
La linea ridisegnata delle labbra, imbottita di una sostanza evidentemente tremolante, seguiva più l’istinto che la ragione, riuscendo a far svanire le soddisfazioni provate dopo l’intervento. Ricordava di essersi guardata allo specchio dopo molti giorni: un’altra donna, domato persino lo strabismo di Venere che piaceva a tanti uomini e che a lei provocava un senso di fastidio perché toglieva fascino al suo sguardo. Qualche uomo, fino a quel momento, l’aveva spesso guardata cercando di capire quale fosse l’occhio da seguire, un po’ troppo abbassato per la verità. La struttura curvilinea del suo sguardo si lasciava scendere fino a conferirle l’espressione di un cane bastonato o forse di un pesce lesso; nel mezzo le cadeva un naso non proprio male,forse troppo squadrato in lunghezza, che scendeva comunque lineare fino a quella che aveva sempre considerato una banale bocca da persona normale e insipida. In realtà la linea del naso poggiava su un solco che apriva due labbra sottili come un filo: era difficile persino mettere la matita tracciando una sola linea, dritta. Nulla di corposo, una traccia inconsistente e suo nonno affetto da Alzheimer che nei momenti di lucidità continuava a ripetere una nenia: “Mio padre diceva sempre, labbra affilate lame di coltello!”.
Così, con questa affermazione che le ronzava nelle orecchie, quasi profetica e persino sovversiva, un giorno banalissimo di fine maggio aveva deciso di recarsi da un chirurgo e di far spazio nella sua vita ai bisturi. Un po’ di gonfiore scacciato dormendoci sopra, rigorosamente senza guardarsi allo specchio, fino al momento in cui due labbra petali di rose si erano annidate al posto di scialbe linee e improvvisamente si era sentita donna, forse ancor più femmina, con addosso una gran voglia di truccarsi e uscire. Ricordava la prima volta che aveva messo piede fuori. Effetto sbiadito il fastidioso modo in cui la osservavano. Qualcuno sembrava quasi non riconoscerla, qualcuno si scusava per non averla salutata in tempo utile, 4-5 secondi dopo l’incrocio degli occhi, una bambina, adolescente ancora senza forme, aveva tirato fuori la solita frase che apriva mille suggestioni: uguale alla Moric. L’effetto sorpresa, borbottio, complimenti spesso fasulli, si era esaurito tra i conoscenti nell’arco di un mesetto, il tempo che tutta la cittadina in cui viveva si fosse accorto dell’accadimento. Se ne era parlato per molto, risatine, etichette, tutti psicologi improvvisati, poi alla fine, come sempre, alle persone non fregava molto della vita altrui tranne impicciarsi opportunamente dei fatti più macabri o di quelli intimi. La gente non era mai capace di farsi i fatti suoi, aveva pensato a un certo punto. In realtà quel pensiero era sempre più ricorrente mentre sgranava i giorni come rosari. Avrebbe voluto essere guardata nel complesso, come se avesse una bocca naturalmente grande. Un giorno, mentre attraversava i vagoni della metro di Roma, si era fermata d’istinto di fronte a una donna. Aveva le labbra disegnate in maniera perfetta, nessun ritocco chirurgico. Si guardavano a vicenda senza frasi notare troppo; sguardi di sbieco, a tratti indifferenti.
Melinda riusciva a leggere nei suoi occhi il solito pregiudizio che accompagna le labbra rifatte. Nessuno capace di osservarla per la sua perfezione, la bocca era preventivamente cadente, viscida, si teneva su per sbaglio. Era scesa un po’ scocciata, una punta di invidia. In quel preciso istante, per la prima volta era cominciato incontrollato il tremolio. Le labbra le erano sembrate budini sfilacciati pronti a cadere, forse budella appoggiate sul suo volto; aveva disperatamente cercato di nascondere l’effetto con un fazzoletto verde, ma persino l’occhio affetto da strabismo si era lasciato coinvolgere in quel giochino senza testa né coda, mettendosi a ballare una sorta di tango regolare. Occhiali da sole e fazzoletto, aveva saltato l’appuntamento con un’amica: nessuno aveva il diritto di vederla in quello stato.
Continuava a pensare alla donna nella metro: a lei avrebbero solo ammirato le labbra tanto erano perfette, sensuali, carnose. Più pensava e più il tremolio cresceva infastidito. Da quel giorno aveva avuto addosso la strana e perdurante sensazione che gli sconosciuti per strada la guardassero e si leggesse nei loro occhi una sola considerazione: “Ha le labbra rifatte! Diventano tutte uguali”.
Così, mentre correva amabilmente come ogni sera al tramonto, sguinzagliando la coda di cavallo a mo’ di batacchio e muovendo il sedere con cadenza regolare, le persone la guardavano di profilo sorpassare e lei sentiva i loro occhi in maniera persistente e quasi ossessiva poggiati sulla bocca. La sua bocca! La bocca di Melinda, finalmente corposa, finalmente come lei aveva sempre sognato. Non aveva forse diritto ogni essere umano a giostrarsi nella selva dei sogni? Perché la tracotanza delle persone non si arrestava davanti ai desideri realizzati? Quelle labbra erano l’altrove da sempre cercato, in cui cullarsi e dove specchiarsi. Finalmente - sbottò un giorno suo nonno - nessuno in famiglia ha fastidiose lame taglienti di un coltello al posto delle labbra!



Immagine: Catherine Chauloux

Nessun commento:

Posta un commento