venerdì 10 settembre 2010

“Neonata tolta alla madre povera”. L’Italia dei buonismi di massa?


Si fa presto a giudicare. E si fa ancora più presto a vendere una notizia con titoloni capaci di attirare l’attenzione dei lettori. In un improvviso e vorticoso giro di pensieri, scatta il buonismo italiano. Tutti si indignano, tutti gridano che è vergognoso, tutti sbraitano contro lo Stato e le sue inefficienze, e poi, tutti tornano sereni e tranquilli dimenticandosi dell’avvenimento.
“Neonata tolta alla madre perché povera”. La notizia è di luglio, gli sviluppi recenti. Il Tribunale di Trento ha dichiarato la neonata adottabile ed ha iniziato un affidamento preadottivo. Al di là delle considerazioni e dei tempi prettamente giuridici, la riflessione dovrebbe scavalcare “il titolo” in sé e allargarsi a più considerazioni.
Va bene che la giustizia in Italia non sempre funziona, ma l’informazione non dovrebbe limitarsi a fare audience, come accade sempre più spesso. L'assessore provinciale alle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, già a luglio, in una lettera indirizzata al ministro Carfagna, aveva sottolineato che non era corretto pubblicare notizie che andassero “a screditare il lavoro del Tribunale e dei servizi sociali accusati di faciloneria, insensibilità e ingiustizia. Non possiamo far passare il messaggio che e' sufficiente essere economicamente in difficoltà per vedersi sottrarre un figlio o che le Istituzioni puniscano anziché aiutare le persone indigenti'”.
Il nocciolo è tutto qui: non far passare il messaggio che la povertà sia un pregiudizio. Non mi sembra che in Italia lo sia, tanto meno che si sottraggano facilmente figli alle madri. Anzi, si può affermare il contrario. Spulciando in giro per news, si trova solo qualche timido cenno alle relazioni stilate dai servizi sociali precedentemente il parto, all’instabilità e “povertà” emotiva, alla fragilità della donna. Bisognerebbe conoscere i dettagli, ma in Italia interessano a pochi. E’ più facile darci dentro coi luoghi comuni e i pregiudizi, prendersela con lo Stato e la giustizia, quasi a fare del singolo episodio uno sfogatoio personale. E qui sono d’obbligo due storie vissute.
G. , 7 anni, cammina ogni mattina per i vialetti della scuola tra le parolacce della madre, sottolineo italiana, una litania che l’accompagna fino all’entrata in aula, tra gli sguardi indignati dei buonisti e i vani tentativi di segnalazione. Disagi familiari, disturbi del comportamento, occhi spenti mentre cerca di giocare in giardino prendendo a botte i compagni di classe.
M., 7 anni, cucina il ragù, si prende cura del fratellino di 2 anni, sa preparare la torta di zucca, come nella tradizione del suo Paese. L’hanno vista andare a fare spesa con un orsacchiotto tra le mani quando scendeva la sera. Non ha un’infanzia, si legge questo nei suoi occhi.
A quest’età, le lungaggini burocratiche ti tolgono il diritto a vivere serenamente la parte spensierata della vita, quella in cui dovresti imparare a sognare. In questi casi, tutti i buonisti pronti a invocare la soluzione inversa: perché i servizi sociali non ci sono? E lo Stato? Lo Stato ha fallito?
Non si tratta di giudicare, ma di valutare. L’Italia delle soluzioni facili è sempre a portata di mano e, aggiungerei, di click. La maternità è un diritto, ma ancor di più l’infanzia.
Forse basterebbe solo un cambio di prospettive: il minore al centro degli interessi, sempre.

1 commento:

  1. non posso che condividere queste affermazioni, anche perché il'interesse del bambino credo dovrebbe essere al centro di ogni considerazione...

    RispondiElimina